A darne notizia è l’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria. “L’omicidio di Michele Gaglione fu un gesto” simbolico” della criminalità organizzata per tentare di ammorbidire il trattamento verso i detenuti sottoposti al regime art. 41 bis”, ricorda Donato Capece, presidente nazionale dell’ANPPE. “Gaglione, ventisettenne di Avella, insieme ad un collega anch’egli Agente di Polizia Penitenziaria, stava rientrando in auto quando furono vittime di un agguato a Secondigliano. Quell’omicidio, si venne a sapere dai pentiti, fu commesso, per ammorbidire la linea di condotta degli agenti penitenziari nei confronti della camorra e per ‘contestare” l’applicazione del ‘carcere duro’ che nel 1992 era oggetto di discussione in Parlamento”.
“L’Appuntato Alfredo Paragano”, prosegue, “era in servizio presso la Casa circondariale di Napoli Poggioreale G. Salvia e il 12 febbraio 1982, libero dal servizio, nei pressi della sua abitazione ad Arzano veniva ferito mortalmente da colpi di arma da fuoco esplosi da ignoti a bordo di una autovettura. L’attentato venne rivendicato da un sedicente gruppo N.C.S. Dopo 28 anni dalla sua morte, sarà confermata la matrice camorristica del delitto. Alfredo morì a pochi passi dalla propria famiglia, sul marciapiede della piccola parrocchia del quartiere, sotto una croce di ferro battuto. Quella mattina era disarmato, perché essendo in licenza aveva lasciato la pistola d’ordinanza nell’armeria del carcere”.
Capece plaude ai Decreti, firmati dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Russo, e ricorda che “tra i nobili scopi statutari dell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria vi è anche l’impegno di glorificare i caduti del Corpo degli Agenti di Custodia e del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ricordare è importante e, purtroppo, nel nostro Paese continua a mancare una cultura della Memoria. Dopo le commemorazioni ufficiali, con il bacio sulle guance ai sopravvissuti agli attentati o ai familiari dei Caduti, con relativa retorica, che sono spesso serviti alla visibilità e a vantaggi politici per gli oratori, la solidarietà, spesso verbale, si è affievolita. Sembra quasi che si voglia cancellare il passato, ma i familiari dei Caduti, i feriti e gli invalidi, testimoni oggettivi restano lì come un monito. Vengono quindi considerati una memoria fastidiosa e ingombrante perché provocano il ricordo di tragicità e orrori. Le Vittime del Dovere sono state troppo spesso dimenticate da questa società distratta, che brucia in fretta il ricordo del dolore di chi è stato colpito negli affetti più cari. Ben pochi coltivano la memoria di quanti sono Caduti e tramandano alle generazioni future il loro patrimonio di valori morali, le loro certezze istituzionali, la loro fedeltà alle strutture democratiche. Sono rimasti i familiari ed i colleghi dei carabinieri, dei magistrati e dei poliziotti trucidati a ricordarLi”.