Una nuova fase per un fenomeno in crescita: dopo i picchi della pandemia e una graduale riduzione negli ultimi due anni, nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro Paese si assestano a 3,585 milioni, in leggera crescita rispetto ai 3,570 milioni del 2022, ma ben il 541% in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni gli smart worker in Italia, come rilevava l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.
In questo scenario “si torna quindi al modello stabilito nel 2017. Il Covid aveva comportato un utilizzo massivo dello strumento, che dall’innovazione organizzativa è migrato verso una finalità emergenziale. Ciò ha generato due effetti di sistema: da un lato sganciando lo smart working dalla finalità propriamente imprenditoriale, ma dall’altro ha dimostrato la sua ampia praticabilità e i suoi benefici anche sul piano sociale”, osserva il giuslavorista Francesco Rotondi, consigliere del Cnel e fondatore dello studio LabLaw.
“Alla prima fase di scetticismo, è seguita una fase di ottimismo eccessivo, che ha per certi aspetti sottovalutato la necessità di coniugare lo smart working con lo ‘stile organizzativo’ delle imprese”, sottolinea Rotondi. Per questo “si discute della necessità di un restyling normativo della legge del 2017, anche se la criticità maggiore pare essere quella che riguarda l’adattamento dell’organizzazione aziendale allo strumento. Perché è emersa con prepotenza una istanza sociale che individua nello smart working uno strumento assai efficace di conciliazione dei tempi di lavoro, di cura e di vita, che si spinge fino a invocare un “diritto allo smart working”, conclude.
Fonte TgCom24