La storia fa comunque il giro del mondo e induce l’ONU a riconoscere che ci sono fondati motivi per ritenere che gli ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre 2023 siano stati vittime di violenze e soprusi.
Amit tira per le lunghe, un certo giorno è costretta a fare la doccia, Muhammad la sorveglia, lei si ritrae, Muhammad la minaccia con la pistola, lei deve cedere. Il giorno dopo Muhammad si pente del gesto, la implora di non rivelarlo a Israele, per compiacerla moltiplica la dose di cibo, infine la cede ad un altro gruppo di carcerieri.
Nel nuovo sito Amit trova altri ostaggi. Viene di nuovo minacciata e brutalizzata. Infine la liberazione in cambio di prigionieri palestinesi. Solo dopo mesi si decide a parlare, il silenzio era per proteggere dalle ritorsioni gli ostaggi ancora trattenuti.
Di storie di donne amate dagli uomini è piena la cronaca dei conflitti. Si ricorderà il caso di Nadia Murad, la donna yazida insignita del Nobel per la pace, vittima di abusi da parte degli uomini dell’ISIS-DAESH. Il Califfato aveva invaso l’area nel nord Iraq dove viveva la comunità yazida per sterminare i maschi e schiavizzare le femmine. Tutto era ammesso nei confronti di quella comunità politeista e dunque non meritevole del rispetto dovuto ai monoteisti ancorché infedeli.
Quanto accade fra Gaza e Israele da mesi è un rosario di brutte storie, la triste contabilità contrasta la vocazione alla saggezza della trattativa. Persino la fornitura di aiuti umanitari, i lanci dal cielo o via mare, è motivo di eccidi. La folla si accalca per arraffare il cibo, si spara per disperderla o per prendere la fetta maggiore.
Un numero imprecisato di ostaggi è ancora in mano ai carcerieri. La trattativa per liberarli oscilla. I negoziatori si incontrano fra Qatar, Egitto, Francia. A volte la delegazione israeliana è richiamata in patria per consultazioni. A volte la delegazione di Hamas si mostra al cospetto della Guida Suprema in Iran, così certifica la vicinanza del movimento alla Repubblica Islamica.
C’è speranza in una soluzione? La speranza è smentita da un altro ostaggio perito. Sotto il fuoco involontario dei liberatori? O per la pesantezza del trattamento? Ne sapremo, se ne sapremo, a cose fatte, allora il conteggio sarà prevedibilmente più pesante.
Noti sono i numeri delle vittime a Gaza: oltre trentamila. Tutti miliziani di Hamas? Oppure effetti collaterali delle operazioni militari? Il confine fra civili non belligeranti e miliziani è sottile. Se ne saprà, quando se ne saprà, come nel caso precedente.
L’Amministrazione americana è in prima linea nel cercare una via d’uscita. Le critiche al Governo Netanyahu si moltiplicano fino alla conclamata freddezza fra il Presidente ed il Primo Ministro. La delegazione americana al Consiglio di Sicurezza si astiene sulla risoluzione per il cessate il fuoco. E’ la prima volta. Washington non ricorre però all’argomento decisivo; sospendere l’aiuto militare. Al contrario accorda una nuova fornitura di munizioni e di aerei.
L’inviato americano vola in Libano per spegnere l’incendio che sta per divampare a nord d’Israele. L’aviazione con la Stella di David si spinge fino alla Siria per scompaginare le milizie filo-iraniane.
Tutto bolle nel calderone mediorientale. Sembra surreale, ed invece è drammaticamente realistica, la sortita di David Grossman sul processo di pace da rivitalizzare con il reciproco riconoscimento fra le parti. Estendere gli Accordi di Abramo all’Autorità Palestinese. Non ve ne sarebbe bisogno. Il reciproco riconoscimento risale agli Accordi di Oslo dei 1993. Ma è come se trenta anni fossero trascorsi invano e la sola proposta ragionevole sia di rinverdire il passato per aprire uno spiraglio al presente.
La personalità della svolta sarà il nuovo Primo Ministro dell’Autorità Palestinese? Su Muhammad Mustafa si punta come sull’uomo delle riforme. Per ridare credibilità all’Autorità e guidare il gruppo arabo cui affidare la cura interinale di Gaza.
di Cosimo Risi