A Damasco le vittime furono poche, l’ufficiale può essere sostituito da un collega altrettanto valido. In Israele si conta una quasi vittima, una ragazza beduina ferita gravemente da una scheggia. La delegazione iraniana all’ONU dichiara che la partita è chiusa, così sostituendo il fischio dell’arbitro. Il Presidente Biden chiama nella notte Netanyahu per indurlo a miti consigli: non reagisca alla reazione, accetti insomma il pareggio. La presidenza italiana convoca il G7 da remoto per certificare il risultato.
Il tragico campionato non finisce qui. Semmai, a insistere nella metafora, si chiude il girone d’andata. Alcune provvisorie considerazioni.
Israele è orgoglioso della difesa anti-missilistica. Il risultato è egregio, pur con i buchi denunciati. La combinazione di contraerea, Iron Dome, aviazione ha funzionato. E’ bastato il sistema nazionale? Non è bastato. Sono intervenute le potenze esterne a supporto.
La portaerei Eisenhower incrocia davanti alle coste e lancia i suoi aerei ad intercettare gli ordigni in volo. Le portaerei francese e britanniche incrociano nel Golfo e lanciano i loro aerei ad intercettare gli ordigni in volo. L’aviazione giordana intercetta i droni prima che entrino nello spazio aereo israeliano. E’ probabile – lo sapremo, se lo sapremo, soltanto fra qualche tempo – che aiuti simili siano venuti da Egitto e Arabia Saudita.
Si è così saldato un fronte anti-iraniano attorno agli Stati Uniti e Israele, che vede protagonisti gli altri due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e le potenze sunnite. Una riedizione in chiave mediorientale del confronto fra Occidente e Oriente.
Cina e Russia tacciono. Si esprimeranno nel Consiglio di Sicurezza probabilmente con una certa circospezione. Specie la Cina che comprende come la singolare alleanza reciti le prove davanti Haifa ma è pronta ad allargarsi ad altri paesi quando si tocchino gli interessi occidentali nell’Indo-Pacifico. Una piccola prova della grande recita che si metterebbe in scena altrove.
Israele vince a metà. Lo scudo ha funzionato, pur tuttavia lo Stato deve prendere atto che il tabù dell’inviolabilità territoriale è stato rotto per la seconda volta dopo il 1991. Allora l’Iraq di Saddam Hussein scagliò gli SCUD su Tel Aviv per tirare in ballo Israele nella Prima Guerra del Golfo, quella succeduta all’invasione del Kuwait. Per un paese piccolo e circondato da giganti territoriali la violabilità dall’esterno è un segno di inquietudine. Lo è pure la necessità di contare sia sullo scontato sostegno anglo-americano sia su quello arabo.
C’è una svolta nell’atteggiamento delle potenze sunnite. Sono state silenti o quasi nella crisi di Gaza, in altra epoca avrebbero levato proteste ben più vigorose per quanto accade nella Striscia. La loro disapprovazione di Hamas è tale che fa superare certe barriere.
Sono silenziosamente attive nel respingere l’Iran. Considerano la Repubblica Islamica la massima minaccia alla stabilità regionale. Le incursioni degli Houthi contro i mercantili nel Mar Rosso pregiudica i traffici via Suez e dunque la fonte di introiti per l’Egitto. Per non parlare dell’eventuale arsenale nucleare in mano agli Ayatollah. La Bomba sarebbe dichiaratamente volta contro l’entità sionista, detto anche Piccolo Satana, avrebbe surrettiziamente a bersaglio l’intera area del Golfo.
Lo scenario è in turbinoso movimento. La vita in Israele, a sentire i resoconti dei cronisti, scorre come al solito. Lo spazio aereo è riaperto, le scuole funzionano, è la stagione dei bagni al mare e delle corse lungo la corniche di Tel Aviv. Mentre corrono, gli atleti guardano al cielo, nell’azzurro una scia insolita attiva l’allarme.
di Cosimo Risi