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Giovanni Gentile a ottant’anni dalla morte (di Giuseppe Fauceglia)

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A ottant’anni dalla sua uccisione a Firenze, il 15 aprile 1944, per mano di partigiani comunisti, la figura di quello che è considerato, dai più, come il maggior filosofo italiano del Novecento, resta ancora controversa solo in ragione della sua adesione convinta al fascismo.

E’ opportuno, però, dopo otto decenni, esaminare la figura e l’opera di Giovanni Gentile senza “gli occhiali” della ideologia.

Innanzi tutto, così come tanti studiosi, ritengo che il passaggio dalla dottrina filosofica di Gentile al fascismo non fu certamente automatica, smentendo quella interpretazione che trovò la sua massima espressione in Benedetto Croce, il quale nell’attualismo gentiliano individuò il pericolo di quell’irrazionalismo sul quale venne costruita l’ideologia fascista. Per sconfiggere questa tesi è oggi sufficiente ricordare che un intellettuale di indubbia matrice gentiliana, come Guido Calogero, fu un militante antifascista, anche se altri, come Ugo Spirito, rimasero allineati alla dottrina del maestro.

Del resto, nel suo “I fondamenti della filosofia del diritto”, volume pubblicato nel 1916, proprio Gentile espose una concezione della libertà dello spirito estranea a quella nozione di “Stato etico”, che caratterizzò l’impianto teorico del fascismo. Certamente, Gentile fu il vero intellettuale organico al regime, basta far riferimento alla voce “Fascismo” dell’Enciclopedia Italiana Treccani, di cui fu pure il direttore, che ancora oggi si presenta come un interessante manifesto ideologico.

Invero, la radice del suo pensiero politico traeva fondamento nella profonda, ma non isolata convinzione, che la Grande Guerra era nient’altro che un’appendice storica del Risorgimento, così contribuendo alla costruzione di quell’identificazione tra partito fascista e Italia, da cui la derivata qualificazione dell’antifascismo come manifestazione dell’anti-italianità.

Una certa vulgata, cara alla sinistra, ha imputato a Gentile di aver ostacolato, con la sua riforma nel 1923 del sistema scolastico, lo sviluppo del sapere scientifico in Italia, omettendo di considerare che ciò dipese e ancora dipende dagli pochi investimenti nel settore e non certamente da quella riforma.

La scuola gentiliana presenta, in una chiave di lettura contemporanea, certamente tratti elitari ed attribuisce alle materie umanistiche un ruolo determinante, ma non posso negare, in ragione della mia esperienza didattica quarantennale, che sino a qualche decennio addietro gli allievi universitari più bravi provenivano proprio dal liceo classico gentiliano, perché questo nella sua impostazione accentuava la propensione logica applicabile anche nell’approfondimento delle discipline scientifiche e tecniche. Il risultato dell’abbandono di questa ispirazione, frutto della “cancellazione della cultura classica”, che ha finito per creare studenti analfabeti e muti, è sotto gli occhi di tutti, ed accompagna ormai il suicidio della civiltà occidentale.

La bonomia e la tolleranza di Gentile ebbe a manifestarsi anche in occasione della direzione dell’Enciclopedia Treccani, opera che dal punto di vista quantitativo e qualitativo resta un monumento della cultura nazionale, allorquando, nonostante qualche manifestato “mal di pancia” di importanti gerarchi, coinvolse nell’impresa editoriale molti suoi allievi antifascisti, come Gaetano De Sanctis, uno dei pochissimi professori universitari che nel 1931 non giurarono fedeltà al fascismo.

Infine, anche per quanto riguarda l’adesione alla Repubblica Sociale di Salò, alla luce di quell’intensa e profonda lettera inviata alla figlia Teresa, non può non ricordarsi la sofferenza profonda del filosofo, che ispirò la sua scelta più alla coerenza rispetto all’impegno assunto nel 1922, che a convinzione profonda, anche perché egli restò sempre intimamente monarchico.

Insomma, la figura e l’opera di Giovanni Gentile va esaminata in una prospettiva più ampia ed organica, come filosofo, come ministro dell’Istruzione, come organizzatore del sistema culturale, abbandonando letture preconcette e ideologicamente ispirate. Credo che questo sia un “debito” che l’Italia democratica deve tributare ad una così grande figura di “intellettuale”.

Giuseppe Fauceglia

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