L’opera. Firmata da Marco Strappato, è un’installazione luminosa che adotta l’iconografia contemporanea del segnalibro e la trasforma in un landmark visibile sulla parte superiore della facciata della ex Casa del Combattente. Una scultura al neon che si connette al nucleo originario della Fondazione, la Biblioteca di Filiberto e Bianca Menna, e vuole ricordarne la presenza; un’opera che attraverso la fisicità diurna e la luminosità notturna si pone come punto di raccordo tra il dentro dell’istituzione e il fuori della città. Come le insegne luminose che Walter Benjamin incontra per le strade di Mosca (Immagini di città, 1955), Qui mi sento a casa è un invito a entrare e a trovare ospitalità negli spazi della Biblioteca; e, nel contempo, giocando con l’utilizzo che della stessa icona si fa sulle piattaforme di social networking, si pone come monito a “salvare” un luogo dall’oblio e dalla trascuratezza.
«Ci sono due cose che mi interessano particolarmente e sono l’Arte ed il Paesaggio, meglio ancora se quest’ultimo si identifica con un luogo prossimo al mare – racconta l’artista Marco Strappato – Ho subito cercato di sintetizzare queste mie due passioni in un oggetto/lavoro il più semplice ed iconico possibile. Ci troviamo in un contesto dedicato all’arte a pochi passi dal mare, non posso quindi che sentirmi a casa, anche se non ci sono mai stato. Naturalmente la prima cosa che mi è venuta in mente di fare è stata quella di aprire Google Maps, portarmi con il cursore sopra il palazzo della Fondazione e aggiungere un segnaposto con una stellina come mi suggerisce l’applicazione, salvando così questo luogo come uno dei preferiti, probabilmente da visitare in futuro. Sono operazioni che facciamo quotidianamente, in maniera quasi automatica, azioni che rimangono relegate al puro contesto effimero e digitale; e se potessimo trasformare questo gesto in qualcosa di tangibile e concreto? Ho deciso, quindi, di proporre un intervento per un’opera al neon con struttura portante in ferro, da installare sopra il palazzo, che ricalchi il bookmark o segnalibro così iconico e contemporaneo, e che tra l’altro si ricollega al nucleo più prezioso di questo spazio: la biblioteca di Filiberto e Bianca Menna. Questo posto ha le potenzialità per farmi sentire a casa e credo che possa anche funzionare come catalizzatore per la cittadinanza ed il pubblico, accendere una luce sopra questo spazio credo possa aiutare tutti a sentirsi un po’ a casa propria».
Il progetto intero. Nella Profezia di una società estetica (1968) Filiberto Menna rintraccia nell’opera di Baudelaire, e in particolare nei Petits Poèmes en prose (o Lo spleen di Parigi, 1867-1869), un’occasione di riflessione sul rapporto tra l’artista e la città moderna. Vivere nel presente significa per Baudelaire, dice Menna, «entrare dentro la nuova realtà, prendere atto di una situazione profondamente mutata in cui l’orizzonte dell’esistenza quotidiana non è più dato dalla natura ma dalla città». L’autore francese affida perciò all’artista moderno il «compito di vivere e rappresentare questo presente», di «tirar fuori l’eterno dal transitorio», nello spazio di una tensione fortissima tra moltitudine e solitudine che si concretizza nell’esperienza della città moderna. L’artista, preso nel mezzo di un gioco combinatorio che lo colloca tra l’esperienza della folla e una struttura urbana ormai programmata, diviene così uno «specchio altrettanto immenso quanto questa folla; un caleidoscopio fornito di coscienza, che, ad ogni movimento, rappresenta la vita molteplice e la grazia mobile di tutti gli elementi della vita».
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