L’importanza della ricerca è stata sottolineata dal fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Silvio Garattini a cui si è unito il messaggio della presidente di AISLA, Fulvia Massimelli che ha evidenziato il ruolo cruciale dell’esperienza delle associazioni dei pazienti. Una conoscenza di valore, utile ad orientare le scelte decisionali nell’ambito del sistema di cura, assistenza e ricerca. A partire da oggi, questi dati si trasformano in un prezioso alleato non soltanto per monitorare le necessità ma, soprattutto, per migliorare la capacità di risposta clinica e di ricerca.
È stata proprio la coordinatrice dello studio e responsabile dell’unità di epidemiologia delle malattie neurodegenerative dell’Istituto Mario Negri, la dott.ssa Elisabetta Pupillo, a presentare i risultati ottenuti dalla coorte prospettica, la cui fotografia vede pazienti prevalentemente uomini (64,9%), con un’età media di 63,5 anni. La diagnosi arriva a circa a 58,5 anni, con un ritardo diagnostico di un anno (12,1 mesi). Tra i pazienti, il bisogno più urgente è stato identificato nella ricerca di una cura (95,5%), seguito dalla scoperta dei fattori di rischio (72,1%). Ed è proprio l’assenza di risposte terapeutiche che evidenzia come – per più della metà degli intervistati (54,9%) – la sicurezza dei farmaci sperimentali sia poco rilevante. A conferma, la maggior parte dei pazienti (75,5%) non ha espresso la necessità di una seconda opinione in caso di disponibilità di un nuovo farmaco.
Secondo la dott.ssa Federica Cerri, neurologa del Centro Clinico NeMO di Milano e responsabile scientifica del Registro Nazionale Sla, l’eterogeneità della malattia pone costanti sfide, sia nella presa in carico clinica che nella ricerca di nuovi trattamenti. Il Registro Nazionale Sla, infatti, nasce proprio come progetto pilota che vede la partecipazione diretta dei pazienti (Patient-driven): uno strumento prezioso per la condivisione mirata delle informazioni sui quali declinare meglio gli approcci clinici e scientifici.
I caregiver hanno in gran parte confermato i bisogni espressi dai pazienti, ma sono state identificate alcune differenze nella gestione della malattia. La fotografia del caregiver vede prevalentemente donne (75%) con un’età media di quasi 58 anni. Con il progredire della malattia, il bisogno di assistenza diventa sempre più complesso con un pesante impatto sulla qualità della vita sia del paziente che dei suoi cari. A testimoniarlo è Claudio Cresta, consigliere AISLA Lazio e dirigente sportivo che ha visto la sua vita, e quella della sua famiglia, stravolgersi con l’arrivo della Sla. Mediamente, più della metà dei caregiver intervistati (55,8%) accusa una forte stanchezza fisica nella gestione del proprio caro. Interessante il fatto che solo una percentuale bassa di caregiver (37,1%) ritiene di aver bisogno di supporto psicologico; eppure, nel 47,4%, il questionario sullo stress familiare ne ha evidenziato un urgente bisogno, con una forte raccomandazione di cercare tale supporto nel 33,7% dei casi.
Complessivamente, il 74,5% dei pazienti ha dichiarato di avere una buona interazione con il medico curante, e ben il 58,1% dei caregiver lo conferma. Dalla loro, per la totalità dei medici, la priorità è quella di fermare la malattia (100%), a cui segue l’impegno a trovare soluzioni che possano migliorare la qualità della vita dei pazienti (88,9%).
Si conclude la prima fase del reclutamento del Registro Nazionale Sla che, come si legge nella nota trasmessa dal Sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato: “Dai risultati dell’indagine emerge quanto sia importante investire nella ricerca e nel promuovere un modello di cura che metta il paziente al centro, valorizzando la relazione di fiducia tra medico e paziente. Il Ministero della Salute rimane fermamente impegnato a supportare iniziative che rispondano a questi bisogni, migliorando le cure e la qualità della vita delle persone affette da SLA e delle loro famiglie. Impegni e obiettivi che continueremo ad affrontare in sinergia con le associazioni”.