“Fine per gli impianti fotovoltaici che poggiano sulle aree agricole?” A cura del Dott. Ciro Troncone

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Al fine che anche il lettore meno addentrato nella materia possa comprendere la questione, mi tocca tornare leggermente indietro nel tempo. Sono due i decreti-legge che recentemente avevano aperto le danze facendo si che anche Italia si iniziassero a muovere cospicui interessi intorno ad una specifica categoria di terreni agricoli, quelli considerati idonei alla causa, per l’appunto le cosiddette aree idonee.

Il primo è stato il Decreto sulle fonti rinnovabili RED II n. 199/2021 (modificato dal Decreto Energia del marzo 2022, n. 17), che introduce l’individuazione della aree idonee ope legis per l’installazione di impianti anche con moduli a terra.

Il secondo invece il Decreto PNRR 3 del 22 Aprile 2023, il quale estende l’accesso agli incentivi statali agli impianti fotovoltaici ugualmente con moduli collocati a terra in aree agricole.

Prima di ciò l’Art. 65 DL 1/2012 del governo Monti, diceva a chiare lettere che agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non era consentito l’accesso agli incentivi statali.

Ed arriviamo così ad oggi, quando il decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 a firma del ministro Lollobrigida (decreto agricoltura), all’art. 5, va nuovamente ad escludere la possibilità ai terreni agricoli di diventare idonei per l’istallazione di impianti fotovoltaici, e siamo esattamente tornati al punto di partenza.

Devo dire anche che da giorni, al riguardo, leggo un po’ovunque articoli di fuoco contro lo stop imposto del decreto suddetto.

La stragrande maggioranza di questi articoli accusa il ministro Lollobrigida di incompetenza, ricordandogli che per raggiungere il traguardo di circa 38 gigawatt di energia solare prodotta al 2030 così come previsto nel Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) sarebbe bastato un utilizzo davvero esiguo di terreni agricoli pari a solo lo 0,35% della superficie agricola complessiva.

Alcuni azzardano nel ricordare al ministro che l’Europa ha già ampiamento deciso la strada da intraprendere e che è anacronistico andare controtendenza rispetto alle direttive comunitarie incorporate nel pacchetto “Fit for 55”, se siamo veramente intenzionati a centrare l’obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Leggo articoli di ingegneri, esperti di settore e manager che si appiattiscono tutti però su un ragionamento che, seppur giusto, è frutto solo di una sequenza a dir poco numerica.

Si deve fare questo perché i numeri che l’Europa ci impone, altrimenti non tornano!

A mio avviso è evidente che un ministro abbia la piena consapevolezza di quanto detto sino ad ora, evidentemente allora la ragione alla base di questa limitazione risieda altrove.

Per capire, dobbiamo guardare la questione con gli stessi occhi di chi facendo politica, soprattutto in un momento storico pre-elettorale, cerca di intercettare un più ampio consenso possibile.

Evidentemente la base degli agricoltori, e l’orientamento di Confagricoltura ne è la riprova, pensa che il fotovoltaico debba restare lontano dai terreni agricoli, e questo i politici l’hanno fiutato bene.

Evidentemente, la logica ed i numeri, se forse bastano a convincere i CEO delle grandi aziende agricole, non fanno breccia nella base che giustamente non si fida…

Fossi in loro neanche io mi fiderei se questa svolta così importante venisse calata dall’alto, in momento in cui come ben sappiamo, la politica agricola comune (PAC) non è per nulla ben vista dagli agricoltori stessi, figurarsi quindi ad andargli a dire “dobbiamo mettere il fotovoltaico sul vostro terreno perché lo chiede l’Europa!”, di sicuro ci inseguirebbero con i forconi.

E allora che facciamo, ci rinunciamo?

No, certo che no, ma potremmo volendo cambiare approccio, stavolta dal basso verso l’alto, non il contrario.

Stavolta si va per i campi, si lavora sulle associazioni, si organizzano incontri dove si spiega che probabilmente i due sistemi possono convivere in quanto già esistono esempi virtuosi di coesistenza.

Stavolta si spiega agli agricoltori che esiste un Agrivoltaico che non a caso prende l’aggettivo di “sostenibile”, si utilizzano gli agronomi per raccontare che nello spazio “poro” le attività agricole non sono inibite e che addirittura la resa delle colture potrebbe aumentare con la protezione e l’ombreggiamento dei pannelli.

Si spiega che gli impianti a terra, eventualmente, si sarebbero messi solo su terreni incolti e da loro stessi abbandonati perché casomai poco fertili o poco produttivi o troppo vicini a strade ferrovie e zone industriali. (anche se oramai con l’art.5 non si può più).

Si sensibilizzano i commercialisti, i quali potrebbe spiegare ai loro clienti imprenditori agricoli che se abbattessero nel loro bilancio la voce di costo legata all’energia, che si stima in media essere prossima al 20%, questo potrebbe ritornare in utile.

Si racconta, come prova a fare in giro per l’Italia l’Arch. Alessandra Scognamiglio in forza all’ENEA, che anche un impianto fotovoltaico può essere realizzato nel rispetto dell’etica e del paesaggio rurale e che non tutti i sistemi devono necessariamente essere uguali tra loro.

Solo così si potranno conquistare pezzi di consenso spostando l’orientamento della maggioranza degli agricoltori a favore del connubio tra la produzione di energia e quella agricola.

Solo così, nessun ministro si sognerebbe più di emanare un decreto mettendosi contro la maggioranza degli operatori e se oggi lo ha fatto è perché sa bene, molto meglio di noi, che buona parte degli agricoltori sono con lui…

Ciro Troncone – Dottore Commercialista

1 Commento

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  • Curioso come il ministro Lollobrigida sia prontissimo a vietare il fotovoltaico sui terreni agricoli, e allo stesso tempo ribadire che “fortunatamente la siccità colpisce solo il sud e in particolar modo la Sicilia”
    così in Sicilia non possiamo né coltivare né produrre energia.

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