Un importante cambio di rotta pure rispetto all’attacco arrivato dalla Corte dei Conti Ue nell’Audit concluso lo scorso dicembre in merito ai decreti italiani sull’etichettatura d’origine per pasta, riso, derivati del pomodoro, latte e formaggi, salumi, considerati ostacoli al libero commercio nonostante l’elevato e legittimo interesse dei consumatori a conoscere l’origine della materia prima di quanto mette nel piatto.
Si sono dunque creati i presupposti per affermare una nuova stagione delle politiche alimentari nella Ue, che guardino alla trasparenza e alla naturalità dei prodotti, rispetto ai troppi inganni permessi in passato e anche contro i tentativi delle multinazionali di indirizzarle verso i propri interessi.
Storica battaglia della Coldiretti, l’etichettatura di origine obbligatoria dei cibi è stata introdotta per la prima volta in tutti i Paesi della Ue nel 2002 dopo l’emergenza mucca pazza nella carne bovina per garantire la trasparenza con la rintracciabilità e ripristinare un clima di fiducia.
Attualmente, l’indicazione della provenienza è stata estesa a circa i quattro quinti della spesa, resta tuttavia ancora anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini, senza dimenticare la carne o il pesce venduti nei ristoranti.
Da non trascurare il fenomeno del fake in Itay, i prodotti stranieri spacciati per nostrani in funzione della norma del codice doganale che consente la italianizzazione grazie a trasformazioni anche minime. Un inganno contro cui proprio l’importante sigla di categoria aveva portato al valico del Brennero oltre diecimila agricoltori lanciando una grande mobilitazione per la raccolta di un milione di firme. Cambiare il codice doganale e introdurre l’etichetta d’origine obbligatoria su tutti i cibi in commercio nella Ue, è e resta l’obiettivo.
di Tony Ardito
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