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Perché occorre ricominciare da Alcide De Gasperi (di G. Fauceglia)

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Ho letto il recente libro di Antonio Polito, “Il costruttore. Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi”, edito da Mondadori, e, in uno a tante altre letture di quest’ultimo periodo, ho avuto l’occasione per riflettere sull’attualità del pensiero dello statista trentino.

Mi rendo conto che nell’impluvio degenerativo della formazione scolastica e nella tracimante incultura dei social, ricordare una figura come quella di De Gasperi possa apparire anacronistico, ciò nonostante occorre collettivamente compiere lo sforzo per ridare alla “Politica” (uso, non a caso, il carattere maiuscolo) una sua dignità, ormai smarrita tra i vari rottamatori, apritori di scatole di tonno e demolitori del passato in nome di un “nuovo” inesistente nei suoi contenuti. Vorrei partire da una celebre frase di De Gasperi: “un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”.

E’ il decalogo di un politico che non vuole piacere alle masse indistinte, che non parla alla “pancia” della gente e che non vive solo di consenso immediato, ma che costruisce il futuro perché ritiene che esso appartenga interamente alle prossime generazioni.

Del resto, che la prospettiva di una politica volta a “costruire” il futuro fosse al centro del pensiero degasperiano, si rinviene anche in un’altra sua frase celebre, sul pericolo insito nell’alleanza tra le forze distruttive: “l’unione delle forze per la demolizione rende impossibile l’unione per la ricostruzione”.

Il contrario di quelle forze politiche che oggi sfornano illusioni piuttosto che soluzioni dei problemi, ma che sono destinate a restare protagoniste di ascese vertiginose e di altrettanto rapide cadute.

De Gasperi, invece, assunse la responsabilità di condurre l’Italia fuori dalle conseguenze di una guerra voluta dal fascismo, creò nuove alleanze con i Paesi occidentali assegnando al Paese una solida collocazione internazionale, costruì il futuro dello sviluppo economico, a volte finanche in contrasto con il suo stesso partito e con il papa Pio XII, allorquando non rinunciò a distinguere i suoi doveri istituzionali dall’obbedienza che un cattolico deve al pontefice. Insomma, un moderato che fu anche un riformatore vero.

Voglio ricordare l’opera di De Gasperi nella faticosa costruzione di un’Europa unita, insieme ad altri giganti del cattolicesimo moderno, come Konrad Adenauer e Robert Schuman, un’unione che doveva comprendere anche la comune difesa e una comune politica estera.

Una lezione oggi tanto attuale in presenza di una guerra che si combatte ai confini dell’Europa e che impone la difesa dei principi del diritto internazionale e finanche degli interessi europei, tanto che siamo a rimpiangere di non averlo ascoltato e di non aver compreso che scelte nette e chiare nella politica estera e nelle alleanze globali determinano la nostra vita interna.

Così come centrali sono state le sue battaglie per combattere l’inflazione, per controllare il bilancio statale evitando sprechi inutili, per la rinascita del Mezzogiorno affrancandolo dall’arretratezza e dal sottosviluppo, per la creazione di un modello di intervento pubblico, che poi contribuì tra il 1959 al 1962 al “miracolo italiano”.

Come dimenticare, poi, la più volte affermata esigenza di stabilità dei governi, in un periodo in cui le istituzioni non erano ancora state messe nell’angolo dalla Repubblica dei partiti, che diede luogo alla legge la quale prevedeva un premio di maggioranza per i partiti apparentati in una coalizione che superava il 50% dei voti.

Era la legge che i comunisti, in una furia abrasiva di ogni tentativo di riforma e contrari ferocemente – per loro collocazione internazionale nel blocco dell’Unione Sovietica – alla creazione dell’unione europea, definirono “legge truffa”, anche se della truffa quella legge non aveva alcun elemento.

Il tema di queste riforme resta ancora immutato nei nostri giorni, e proprio De Gasperi può darci un consiglio utile: un premier è forte solo se sono forti le istituzioni della Repubblica. Ed è proprio nella prospettiva del primato delle istituzioni, che il testimone del pensiero degasperiano sembra essere stato raccolto da Antonio Tajani, che concretizza un “moderatismo non esangue”, ma veramente riformista in Italia e in Europa.

Giuseppe Fauceglia

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