Qualche riflessione sul premierato (di Giuseppe Fauceglia)

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Come al solito sulle questioni istituzionali in Italia si affrontano le curve dei tifosi, i quali non conoscono, a volte, neppure il contenuto dei provvedimenti, oggetto – tra l’altro – di comunicazioni semplificate per slogan.

Del resto, questa profonda deficienza cognitiva, da una parte, è il risultato del progressivo disinteresse di ampi strati della popolazione più avveduta finanche in relazione a questioni istituzionali per l’Italia, e, dall’altra, dalla costante marginalizzazione degli elettori nella scelta dei parlamentari, frutto della cooptazione e delle liste bloccate con parlamentari scelti dalle segreterie dei partiti. Insomma, ci troviamo di fronte ad un mix pericoloso per una democrazia già in crisi di rappresentanza.

Venendo alla proposta di legge sul c.d. premierato, come approvata dal Senato, essa, in estrema sintesi e semplificazione, introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, consentendo ai cittadini di esprimersi direttamente sul suo nome; il Presidente del Consiglio non riceve più l’incarico dal Presidente della Repubblica sulla base delle possibili maggioranze parlamentari; il Presidente del Consiglio dura in carica cinque anni e viene eletto unitamente ai membri del Parlamento; viene fissato il limite massimo del mandato popolare in due legislature consecutive.

Il testo di riforma costituzionale demanda, poi, ad una legge ordinaria la conseguente disciplina del sistema elettorale, entra, però, in Costituzione il “premio” sulla base del quale dovrà essere garantita la maggioranza parlamentare, anche se il testo iniziale fissava la quota del 55%, mentre il disegno di legge approvato demanda il tutto alla successiva legge elettorale, sia per la percentuale che per l’ipotesi di ballottaggio tra i primi due candidati premier.

La proposta prevede, altresì, che sia il Presidente della Repubblica che dovrà conferire al Presidente del Consiglio l’incarico di formare il Governo, nominando e revocando i ministri su proposta di quest’ultimo: sul tema il dato innovativo è dato dalla possibile revoca dei singoli ministri su proposta dello stesso Presidente del Consiglio. Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alle Camere per ottenere la fiducia, e se questa non viene conseguita il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto, il quale dovrà compiere un nuovo tentativo con una diversa composizione del suo governo.

Qualora anche in questa seconda ipotesi il Governo non ottenga la fiducia, il Presidente della Repubblica scioglierà le Camere, con conseguente indizione di nuove elezioni. Altra innovazione riguarda la sfiducia, data con mozione motivata, al Governo nel corso della legislatura, il premier eletto in tal caso può proporre, entro sette giorni, al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere.

Qualora il Presidente della Repubblica non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, può conferire, per una sola volta nel corso dell’intera legislatura, l’incarico di formare il Governo verrà conferito al Presidente del Consiglio dimissionario oppure, dove ciò non avvenga o possa avvenire, ad un altro parlamentare eletto nella lista collegata al Presidente del Consiglio.

L’intera disciplina è espressamente finalizzata a preservare il voto popolare, evitando, da un lato, improvvisi cambi di “casacca” dei parlamentari, e, dall’altro, ad impedire che possa essere indicato dal Presidente della Repubblica un Presidente del Consiglio non eletto dalla maggioranza degli elettori.

Le recenti esternazioni del Segretario di Stato Vaticano, cardinale Ruini, sulla richiesta di aiuto dell’allora Presidente Scalfaro per ribaltare il primo Governo Berlusconi e le successive formazioni di c.d. governi tecnici non conformi al risultato elettorale, paiono delle fondate ragioni per conseguire la stabilità dei Governi in ragione del risultato elettorale.

Venendo ad alcune osservazioni politiche, nel nuovo bipolarismo emerso dalle passate elezioni europee, resta evidente che Giorgia Meloni non ha alcun bisogno del premierato per tornare a vincere, considerata la solidità della sua maggioranza già collaudata nel corso di decenni, al contrario – come nota con il solito acume Francesco Adornato – proprio la segretaria del PD, senza questa riforma, difficilmente riuscirà a conquistare la maggioranza politica in future elezioni.

Del resto, nel corso degli anni abbiamo visto maggioranze colorate e assai composite del centro-sinistra, che ben presto si sono sciolte in un batter d’occhio. Non solo, ma nonostante le affermazioni della Schlein sarà assai difficile, nel contesto della attuale legge elettorale e dell’attuale assetto costituzionale, dar luogo ad una alleanza tra partiti che sono in completo disaccordo su temi essenziali per l’interesse nazionale, come in politica estera o nelle alleanze internazionali o sulle politiche sociali.

Proprio per questo, il disegno di legge sul premierato potrebbe consentire alla sinistra di sciogliere le sue storiche contraddizioni, prova ne sia che l’idea stessa del premierato è nata proprio da autorevoli costituzionalisti di sinistra ed è stata proposta, prima di ogni altro, da Matteo Renzi quando era segretario del PD.

Allora, mi pare un segno di evidente infantilismo politico la consueta campagna antifascista, partita in pompa magna, contro la presunta riforma autoritaria del Governo. La Schlein non dovrebbe dimenticare la lezione dei grandi leader passati del suo partito, i quali abbandonarono le comode strade delle proteste di piazza, per percorrere responsabilmente quelle del confronto.

Giuseppe Fauceglia   

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