Al gioco europeo dei Top Jobs (di Cosimo Risi)

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I top jobs, è elegante chiamarli in inglese, sono gli incarichi apicali nelle istituzioni europee. È il gioco del momento, appassiona i dirigenti politici e i media, gli uni e gli altri indifferenti al che fare una volta che i vertici europei sono occupati. L’esatto contrario del detto italiano: prima i programmi e poi i nomi. A Roma i programmi non si conoscono, Bruxelles allegramente ci assomiglia.

È andato a vuoto il vertice informale dei Ventisette, malgrado l’incontro riservato fra i negoziatori liberale (il francese Macron), socialista (il tedesco Scholz), popolare (il polacco Tusk). Se ne riparla al Consiglio europeo di fine giugno, con la possibilità che neppure allora si decida. Alcune delegazioni, pare l’italiana in testa, vorrebbero attendere l’esito delle legislative in Francia per ritrovare il Presidente Macron indebolito dalla probabile vittoria del Rassemblement National e in coabitazione con il giovane Javier Bardella.

Una Francia volta a destra aiuterebbe le destre in generale ad ottenere di più? Nella corsa alla presidenza della Commissione, Ursula von der Leyen potrà valersi dello spostamento verso i Conservatori, a danno di Socialisti e Verdi?

Il Consiglio europeo designa il candidato alla presidenza della Commissione e lo passa al vaglio del Parlamento europeo. Alcuni Capi di Stato o di Governo minacciano di designarlo a maggioranza qualificata, se i colleghi di destra non ci stanno. Sarebbe una soluzione inusitata: la Commissione interpreta l’interesse europeo generale, la sua presidenza dovrebbe essere largamente se non unanimemente condivisa.

Ursula rimane la candidata per ora unica. Il passare del tempo la logora. Candidati non dichiarati della galassia popolare si muovono sottotraccia: Antonio Tajani e Martin Weber coltivano qualche ambizione. Entrare papa e uscire cardinale è una frase dei Sacri Palazzi, vale anche al Palazzo Europa.

La candidata finora unica del PPE, al gruppo maggioritario spetta la prima scelta, vuole accelerare i tempi della designazione, senza finire nel gioco oscuro fra Consiglio europeo e Parlamento, e cioè fra Governi e Gruppi politici. Acquisire la designazione dai Ventisette e poi cercare i numeri sicuri a Strasburgo, anche presso i gruppi politici non appartenenti alla maggioranza.

I Conservatori o una loro parte (Fratelli d’Italia) possono soccorrere in caso di franchi tiratori in seno alla coalizione di Popolari, Socialisti, Liberali. La triade Macron – Scholz – Tusk potrebbe non replicarsi uguale nel voto all’Assemblea.

Nel pacchetto rientra la nomina del socialista portoghese Antonio Costa alla presidenza del Consiglio europeo. Data per scontata fino a giorni addietro, è messa in discussione da alcuni Popolari. Costa non sarebbe abbastanza filo-ucraino, se proprio si deve, andrebbe eletto solo per metà mandato. Il che suona inaccettabile ai Socialisti, che mai hanno presieduto il Consiglio europeo.

La candidatura di Enrico Letta di cui scrive la stampa italiana ha qualche possibilità? Sarebbe la carta di riserva in caso di stallo su Costa. Sarebbe comunque singolare un presidente italiano del Consiglio europeo proveniente da una famiglia diversa da quella della Presidente Meloni. Lo scenario è improbabile ma possibile nelle brume del Belgio.

La liberale estone Kaja Kallas aspira al posto di Alto Rappresentante. La nomina pare sicura, qualcuno nota che una candidata baltica sposterebbe l’asse della politica estera in chiave ulteriormente antirussa. Continuare a litigare con Mosca per il prossimo quinquennio?

Roberta Metsola sarebbe confermata alla presidenza del Parlamento europeo. La popolare maltese succederebbe così a se stessa, salvo lasciare lo scranno ad un socialista a metà legislatura. Di questa casella il Consiglio europeo discute con circospezione. Il Parlamento è geloso delle prerogative, prefigurarne le decisioni danneggerebbe le aspirazioni di Metsola.

Ed infine l’Italia. A sgombrare il campo dalle ipotesi della presidenza del Consiglio europeo, i candidati papabili sarebbero Enrico Letta e Mario Draghi, ambedue non allineati all’attuale Governo di Roma, resta l’assegnazione di un portafoglio di peso al Commissario italiano. Si attribuisce a Ursula l’idea di conferirgli la responsabilità di Next Generation EU e delle politiche di coesione. Corrisponde al profilo del Ministro Raffaele Fitto, con buona pace di Giancarlo Giorgetti che vorrebbe lasciare Roma per Bruxelles.

Il gioco continua.

di Cosimo Risi

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