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Contro l’imbarbarimento della politica (di Giuseppe Fauceglia)

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Ogni giorno che passa mi rivolgo la stessa domanda: è possibile che il dibattito politico, a livello nazionale e locale, sia sceso ad un livello così basso? Ho provato a individuarne le ragioni, non dimenticando che già nella prima Repubblica sia il PCI che il MSI avevano sempre privilegiato una propaganda incentrata su questioni personali (come non ricordare gli attacchi dell’“Espresso” alla famiglia e al suo essere “napoletano” dell’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone), anche se bisogna ammettere che i partiti di opposizione non avevano mai rinunciato, specie il PCI, ad una più completa ed organica proposta politico-istituzionale sulle principali questioni che interessavano il Paese.

Con il fallimento dei tentativi di unità nazionale, dopo l’assassinio di Aldo Moro, il PCI di Berlinguer si orientò a porre al centro della sua lotta politica la c.d. “questione morale” (sostanzialmente indirizzata ad indebolire l’asse tra DC e PSI, che, nella sua configurazione craxiana, era considerato l’esempio di un progressivo degrado istituzionale) e con l’impluvio demolitorio di “Mani pulite”, la politica ha finito per essere incentrata su questioni pruriginose o su episodi finanche sessuali (come non pensare ad alcune vicende montate ad arte nei confronti di Berlusconi), finalizzate ad ottenere un consenso di pancia di elettori, sempre più incattiviti per la crisi economica e per la perdita di credibilità e di autorevolezza delle istituzioni repubblicane.

La crisi della democrazia parlamentare e i sistemi elettorali, sempre più caratterizzati da una progressiva marginalizzazione degli elettori con l’imposizione di candidati scelti nei territori dalle segreterie dei partiti, hanno finito per dare maggiore impulso all’ imbarbarimento della lotta politica, sempre più incentrata su mere vicende personali, montate ad arte nel circuito mediatico-giudiziario (il caso Sangiuliano ne resta l’ultimo esempio).

Questa deriva comporta, indirettamente, l’insorgere di autoritarismi, di populismi e di autocrazie, proprio perché lo scontro politico cessa di essere confronto duro e serrato tra proposte e idee, per diventare esclusivo terreno di gossip.

L’ondata populista, che incarna questa tendenza, si nutre di schemi politici che invece di essere fondati su tradizione e ragione, preferiscono utilizzare tecniche di conquista del consenso con il ricorso ad una comunicazione efficace, con l’impiego di simboli e persone da “attaccare”, a volte in modo indiscriminato e particolarmente odioso.

L’uso della violenza verbale e di argomenti speciosi diventano gli strumenti per tentare la conquista del potere, svuotando il significato delle leggi vigenti, attraverso la riproposizione di un’interpretazione capziosa, infondata e di parte.

La questione mi pare assumere un rilievo anche nel contesto del dibattito attuale sullo stato della democrazia occidentale, sul quale vorrei suggerire la lettura di Karl Lowenstein, “Democrazia militante e diritti fondamentali”, ed. Quodlibet Ius, volume che traduce due saggi apparsi nel 1937 nella prestigiosa “American Political Science Review”.

Le pagine di Lowenstein sono affascinanti perché, come scrive l’amico Guido Alpa sulla “Domenica” del “Sole-24 ore”, la democrazia non può essere portata al limite di legittimare il suo opposto, con ciò riferendosi alle analisi di Malkopolou e Kirschner, secondo i quali, proprio applicando le regole democratiche, si è lasciato esplodere in Germania il partito di estrema destra AFD.

Questa tendenza, che vedo molto pericolosa, si traduce, anche a livello locale, in un indiscriminato utilizzo di vicende personali che nulla hanno a che vedere con le scelte politiche e amministrative.  Nulla si dice o si è detto da parte di qualcuno su una situazione che appare simile a quella de “Le mani sulla città”, per citare un noto film di Francesco Rosi, e che inducono a pensar male sull’esistenza di cointeressenze trasversali, sul progressivo degrado ambientale e sociologico di Salerno, sulla evidente crisi finanziaria del Comune e sul sistema di potere trentennale, preferendo sollevare questioni sui “figli”, travolti nell’agone di un dibattito specioso, in assenza di qualsiasi fondata valutazione – che non compete certo a chi solleva il polverone – sulle reali capacità o meriti del soggetto interessato,  specie quando queste nulla hanno a che vedere con la politica ma riguardano campi dello scibile e della ricerca.

Una proposta alternativa di governo della Città, che superi un certo infantilismo politico che si è già dimostrato inutile e dannoso, deve essere, invece, fondata sull’autorevolezza, sulla capacità di analisi dell’esistente e su un programma articolato. Solo in questo modo si può davvero pensare ad offrire agli elettori una concreta alternativa all’assetto di potere che da trent’anni soffoca la nostra comunità.

Giuseppe Fauceglia   

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