Ecco il testo dell’omelia di Fr. Massimo Fusarelli, OFM, Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori.
“Cari Arcivescovo Andrea e Vescovo Alfonso,
sacerdoti, consacrate e consacrati, fedeli tutti, Autorità civili e militari,
il Signore vi dia pace!
Un simbolo ritorna nella Liturgia della Parola risuonata in questa assemblea che
rende grazie al Padre per la presenza in questa Chiesa del patrono San Matteo: il
cuore. L’Ascolta, Israele, preghiera essenziale di ogni pio ebreo fino ad oggi, mette
al centro il cuore per esprimere il riferimento fondamentale a Dio. La relazione con
Lui attraversa l’interiorità del credente, sin nel profondo della volontà e dei
sentimenti.
Ciò che resta decisivo nella vita e nella missione della Chiesa – anche di questa
Chiesa pellegrina in Salerno – è coltivare la relazione “cordiale” con Dio e tra noi.
San Matteo nel suo vangelo ecclesiale richiama questa dimensione in 5,43-45:
“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i
vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa
sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”.
Non basta un vago sentimento di amore al vicino: cane non mangia cane è un detto
popolare: anche i cani hanno l’amore del prossimo. Qui Matteo ci fa volare alto e ci
porta a quel di più della legge, a quella giustizia superiore che è propria di Gesù.
L’amore al nemico ne è il segno!
San Francesco quando nel suo Testamento (2Test 7: FF 112) parla dei sacerdoti, si
riferisce alla misericordia nell’accettarli anche nella loro debolezza morale e
pastorale:
“E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di
questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà”.
Il giudizio che taglia e non lascia scampo distrugge ogni comunità dal di dentro e
nega nei fatti la legge dell’amore che supera la pura giustizia retributiva. Questo vale
per ogni comunità, dalla famiglia, alla società nelle due diverse espressioni, alla
Chiesa. L’aggressività, spesso brutale, che registriamo oggi a tutti i livelli, dai social
agli scambi verbali, è segno di un deterioramento del “Noi”, dove l’ego prevale e
scioglie i legami che ci tengono uniti come comunità. Celebrare san Matteo vi aiuti a
ricentrarvi/ci su questo focus, che ci chiede nuove sintesi ed esperienze reali di
incontro e di solidarietà, oltre il puro soddisfacimento dei nostri bisogni.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella
della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di
tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. (Ef 4, 1-2).
San Paolo si rivolge agli Efesini (4,1) e ricorda loro ciò che tiene insieme la comunità
e lo fa ancora con il linguaggio dell’amore:
“Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della
chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda
nell'amore, avendo a cuore conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.
La chiamata dei credenti si rende visibile nello stile delle relazioni, all’interno della
comunità e verso tutti gli altri, Matteo direbbe che ognuno è mia carne e allora il
comandamento sarà amare i nemici, che è il centro del cristianesimo.
Sa Francesco lascia ai suoi fratelli il testamento dell’amore reciproco (1Test 3: FF
133). Sa che non è facile. Per questo scrive a tutti i fedeli (2Fed 4,26-27: FF 190):
E amiamo i prossimi come noi stessi. E se qualcuno non vuole amarli come se stesso, almeno
non arrechi loro del male, ma faccia del bene.
Francesco però, nello slancio di san Matteo va oltre. Nella Lettera a un Ministro dice:
“E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me servo suo e tuo, se farai questo, e
cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale,
dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede;
e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia E se, in seguito, mille volte
peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e
abbi sempre misericordia di tali fratelli” (IV, 26-27: FF 235).
La misericordia, inesauribile, è la vera riserva della Chiesa, perché rende visibile
l’annuncio di un Padre che ama tutti, senza distinzioni, e tutti abbraccia. Qualunque
divisione, riduzione dell’unità del corpo, specie quando è voluta e perseguita, magar
in nome di una presunta superiorità morale o spirituale, nega quell’annuncio.
Non per niente l’apostolo san Matteo descrive la comunità di Gesù come un luogo di
perdono costante, con una vera pedagogia per cammini di riconciliazione.
Posso incontrare nel mondo tante situazioni ferite, traumi per esperienze dolorose,
troppe volte oltre ogni limite. Anche i segni di tensione e di fatica che vediamo nel
nostro paese ci fanno avvertire l’urgenza di scegliere vie di riconciliazione per sanare
ferite e aprire cammini nuovi. La via della pace comincia in ciascuno di noi.
San Francesco 800 anni fa saliva alla Verna in una situazione personale di “grande
tentazione” e di fatica con la sua stessa fraternità, che aveva preso strade diversa da
quella che lui aveva abbracciato in povertà e umiltà. Frate Francesco non si arrende,
se non all’amore di Cristo, inseparabile dal suo dolore. È in questo insieme che trova
un cammino nuovo. Non ci spaventi o paralizzi nessuna situazione di blocco nel
dialogo nel cammino comune. Lo Spirito del Signore ci invita a guardare le cose e le
persone, le situazioni e le nostre realtà da un punto di vista più alto. Osiamo!
Il Vangelo ci fa ascoltare la vocazione di Matteo, chiamato “un uomo”, perché il suo
mestiere di esattore, pur spregevole, non gli ha tolto la dignità più profonda.
Il racconto è veloce, si concentra tutto in uno sguardo, quello di Cristo verso di lui.
Matteo si è «convertito» a Cristo, perché ha visto Cristo «convertirsi» a lui, fermarsi
e girarsi dalla sua parte. La vocazione inizia con la crescita della nostra umanità.
Infatti, la casa di Matteo, prima solitaria, si veste di festa, si riempie di volti, di amici.
Molti erano peccatori pubblici, eppure ora sentono che possono sedersi a quella
mensa, non essere rifiutati e umiliati. Ciò provoca le parole amare degli uomini della
religione, che tutto delimita, incasella, comprime. La parola di Gesù è chiara: non
voglio sacrifici! La religione non è sacrificio: guarisce la vita, fornisce consistenza e
profondità; non la mortificazione dà lode a Dio, ma la vita piena, forte, vibrante,
appassionata.
Anche a noi è detto oggi:
«Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono
venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
È l’inesauribile misericordia di cui ci ha parlato Francesco, che porta a vivere non
come chi sa tutto e sta sempre sopra, gonfio del vento del proprio orgoglio e piccolo
potere. Scrive a tutti i fedeli (2Fed IX, 47: FF199):
«Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad
ogni creatura umana per amore di Dio».
La comunità cristiana non è forse chiamata, in un mondo dominato dal culto dell’ego,
a convertirsi in un luogo di misericordia? Non sarà questa la nostra profezia e
sapienza di vita insieme? Qui la tendenza a dominare è evangelizzata e guarita, per
dare spazio a un’umanità nuova, fatta di fratelli e sorelle, piccoli, legati gli uni agli
altri.
È qui che ci opponiamo alle forze di morte che suscitano guerre e odio, trasformando
l’altro in nemico e la stessa Terra del Santo in un campo di battaglia e di divisione.
San Francesco ha attraversato la frontiera che lo separava dal mondo musulmano ed è
andato – disarmato – nel campo di battaglia dove gli eserciti nemici si
fronteggiavano. Non era un ingenuo. Conosceva la guerra e le sue logiche perverse.
Ha osato pensare oltre e porre gesti di pace, paradossali e apparentemente inutili.
Eppure, ancora ne parliamo e sono un lievito di pace e di incontro tra culture e fedi
diverse.
San Francesco vissuto il dono dei fratelli nella polarità costante con tutto ciò che
rallenta, ferisce, a volte sfigura la realtà di comunione della Chiesa.
Ha imparato ad attraversare questa realtà, certo che il Vangelo apre l’umano alla sua
vocazione ultima, che è quella divina.
Francesco piccolino ci indica la strada del diventare piccoli, di non voler prevalere,
nella fiducia che lo Spirito Santo qui agisce e prepara la strada all’umanità nuova.
Vi auguro di vero cuore di vivere così la festa odierna, non solo oggi ma nel cammino
che vi attende, mentre preghiamo per la pace nel mondo e in particolare in Terra
Santa“.
Questo il saluto finale dell’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, S.E. Monsignor Andrea Bellandi.
“Carissimo Fra Massimo,
Desidero esprimerLe, a nome mio e di tutta la nostra Arcidiocesi, il ringraziamento
più sincero e profondo anzitutto per aver accolto il nostro invito a presenziare nella
Solennità del nostro Santo Patrono, e – particolarmente – per quanto ci ha detto
nell’omelia, legando la figura dell’apostolo Matteo a quella di Francesco, santo
amato da tutti.
Anzitutto la Sua Presenza ha per noi un significato simbolico assai rilevante. Come
discepolo del Santo di Assisi – nonché ministro Generale dei frati minori – ci ricorda
il compito di noi cristiani di essere come Francesco “artigiani instancabili di pace”;
quella pace che oggi drammaticamente è violata nei tanti conflitti che insanguinano il
nostro pianeta, non ultimo quello che sta seminando odio e vendette in quella Terra
che ha visto nascere Gesù, il “Re della Pace” e che vede scorrere fiumi di sangue,
soprattutto di bambini. Attraverso di Lei giungano al Patriarca di Gerusalemme dei
Latini, il card. Pizzaballa, – anch’egli un figlio di San Francesco – i più affettuosi
sentimenti di vicinanza, unitamente alla nostra preghiera.
Secondariamente La ringraziamo per quanto ha voluto offrirci attraverso le sue
parole. Ha sottolineato, giustamente, come “l’aggressività che registriamo oggi a tutti
i livelli, dai social agli scambi verbali, è segno di un deterioramento del “Noi”, dove
l’ego prevale e scioglie i legami che ci tengono uniti come comunità”. Celebrare san
Matteo è un forte invito, perciò, al di là della fedeltà alle tradizioni che giustamente
dobbiamo conservare, a impegnarci tutti come comunità cristiana e civile a realizzare
spazi di convivenza fraterna, di relazioni feconde, di attenzione a chi è in situazione
di maggiore difficoltà.
Siamo ormai quasi alle porte di quel Giubileo del 2025 che il Santo Padre ha inteso
dedicare al tema della speranza, che non può non fondarsi su quell’amore gratuito e
senza riserve che il Padre ci ha mostrato inviandoci Suo Figlio, rivelazione in forma
umana del suo volto di misericordia. Possa lo sguardo di amore di Gesù raggiungere
ancora una volta il cuore delle donne e degli uomini del nostro tempo, come
raggiunse quello del giovane Levi-Matteo, così da infondere nuova linfa di speranza
alla nostra comunità, permettendo di guardare al futuro con quella certezza lieta di
essere sempre accompagnati, sostenuti e consolati da quell’amore di Dio che mai
delude e che ci chiede di esserne strumenti fattivi in questo nostro mondo, a
cominciare da coloro che ci stanno accanto.
Grazie ancora, carissimo padre, e auguri a tutti“.