Destra e sinistra hanno ancora un significato? (di G. Fauceglia)

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Destra e sinistra hanno ancora un significato? Molti pensano di no, perché le ideologie del Novecento sembrano, sotto la ventata del populismo e delle modificazioni sociologiche, aver perso la loro spinta propulsiva. Invero, i partiti tradizionali hanno da tempo smarrito le proprie basi elettorali, sì che, in società sempre più liquide ed in costanza di un consenso sempre più volatile, questi non hanno più interlocutori stabili.

A sinistra sono quasi scomparse le forze antisistema, se si fa eccezione per le marginali posizioni antagoniste, anche perché il crollo del Muro di Berlino ha consegnato alla storia la rivoluzione sovietica e l’impluvio, meramente propagandistico, che ne derivava.

E’ entrata, però, in crisi anche la socialdemocrazia, che ha finito per perdere il suo stesso impatto riformatore, grazie all’evoluzione del welfare state, con la conseguenza che l’interventismo dello Stato e la stessa protezione sociale hanno provocato nuove inefficienze e nuove disparità, che non sono state adeguatamente rappresentate dal riformismo. Inoltre, la transizione postindustriale ha significativamente assottigliato le file della classe operaia, e l’emergere di nuovi precariati ha fortemente inciso sulla stessa “qualificazione” della lotta di classe.

Anche a destra si può registrare un affievolimento delle caratteristiche storiche del Novecento: la modernizzazione culturale ha sfidato la piramide delle gerarchie e dei valori che avevano contraddistinto la tradizione conservatrice. In sostanza, il liberalismo politico, specie con l’istituzionalizzazione dei diritti di cittadinanza, ha perduto la sua forza propulsiva, anche se sembra poi essere rinato nelle impostazioni privatistiche e mercantilistiche.

Questa posizione, però, ha finito, da una parte, per conquistare nuovi ceti emergenti dalla nuova pratica della conoscenza e dalla globalizzazione, e, dall’altra, a fare proprie alcune domande provenienti dai ceti più marginalizzati dal processo produttivo.

L’emergere di questi nuovi contenuti hanno un tratto comune: rifiutano per principio la distinzione tra destra e sinistra, attestandosi alcuni su posizioni che guardano ad un apparente futuro – ecologismo, politica di genere, antiglobalismo – ed altri che guardano all’interesse della nazione, fino alla sua versione più estrema, come il sovranismo e l’euroscetticismo.

In questa nuova prospettiva, la contrapposizione non riproduce più lo schema classico destra-sinistra, quanto quello popolo-élite, che finisce per riprodurre i vincenti e i perdenti della globalizzazione, in un quadro – come acutamente osserva Maurizio Ferrara – fortemente destrutturato.

Il tracciato di cui innanzi si è data breve sintesi, si manifesta a livello nazionale. Si pensi ai democratici svedesi che sono una forza di destra, xenofoba, populista ed euroscettica, la quale nelle ultime elezioni è arrivata al 20,5% dei suffragi subito dopo il consolidato partito socialdemocratico, e che ha tratto proprio dalla tradizione della sinistra storica gran parte del bagaglio del programma elettorale; oppure all’AfD tedesca che trova la sua base di conensi tra gran parte degli operai dei lander dell’ex Germania dell’est, messi da parte dalla globalizzazione e dai mutamenti industriali di marca ambientalista.

Il fenomeno di osmosi tra “opposti” si manifesta anche nel panorama italiano, specie nel Mezzogiorno, dove, ad esempio, il Presidente della Campania utilizza per rafforzare il suo consenso elettorale, argomenti tipicamente appartenenti alla tradizione della destra, come il contrasto alla criminalità o all’immigrazione.

La politica non può essere ridotta, però, ad una così forte semplificazione, ma è chiamata – come ricordava Norberto Bobbio – ad elaborare visioni del futuro, fondate su prospettive anche ideali per guidare la società nel suo complesso, in sé determinanti anche per governare i conflitti e, soprattutto, per attribuire legittimità alle diverse opzioni di governo.

Le contrapposizioni monotematiche, ad esempio sull’immigrazione o sulle comunità Lgbt, finiscono per rendere sottile, se non impalpabile, il confine tra le opzioni di vertice al fine di ordinare la realtà secondo criteri assiologici, per riportare il tutto nei rispettivi ambiti di specializzazione. Proprio per questo, non riterrei inutile riprodurre il vecchio schema “destra-sinistra”, che per secoli ha contraddistinto il dibattito politico.

Giuseppe Fauceglia 

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