Siamo un Paese senza cura (di Giuseppe Fauceglia)

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Assistiamo, ancora oggi, al mancato riconoscimento della professione infermieristica, che vive, come con irrimediabile durezza esprimono i numeri, una crisi profonda, e non soltanto per l’aspetto economico. Invero, è sull’idea stessa del “prendersi cura” che la nostra società conosce ormai irrimediabili ritardi (si rinvia alle analisi di Francesco Seghezzi e Michele Tiraboschi su “Avvenire” e di Maurizio Crippa su “Il Foglio”), come si manifesta dalle domande di immatricolazione a Infermieristica, calate da 46 mila a 21 mila iscritti.

Indubbiamente, si tratta di una crisi vocazionale legata al valore sociale di mestieri che restano, per le note ragioni che riguardano il settore sanitario, sconnesse dalla stessa funzionalità del sistema. Nel 1994 in Italia è stato riconosciuto agli infermieri il titolo di “operatori sanitari”, cui veniva collegata la conseguente formazione universitaria specialistica.

Oggi, calcolando gli iscritti alle facoltà e considerando il normale turnover, possiamo ritenere che gran parte dei posti disponibili resterà vuota nei prossimi anni. Eppure l’aumento delle necessità e l’invecchiamento della popolazione richiederebbe proprio un incremento di queste professionalità, pure perché un gran numero di infermieri, in questi anni, ha deciso, anche per ragioni economiche, di lavorare all’estero.

Un infermiere italiano guadagna tra i 22 mila e i 32 euro lordi annui, che resta il livello stipendiale più basso tra i paesi europei.  Ma non è solo questo: come si apprende dai dati dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie, il 32% delle aggressioni riguarda proprio gli infermieri.

A ciò si aggiunga che, in ragione dell’organizzazione prevalentemente “politica” della sanità, affidata al “volere” di direttori generali nominati, a volte, a prescindere dal merito ma solo in virtù dell’“appartenenza”, si assiste alla fuga dalle strutture pubbliche, per ricercare soddisfazione professionale adeguata in quelle private.

Neppure può essere sufficiente la creazione degli “assistenti infermieri”, una figura intermedia, “ideata” dal Governo, per cui un Oss con cinque anni di esperienza può ottenere un upgrade di ruolo; né pare percorribile l’opzione della privatizzazione affidata alle cooperative infermieristiche (per le quali dovrebbe essere adeguatamente esaminato il livello stipendiale e le tutele di stabilità).

Eppure negli scorsi anni, medici ed infermieri erano gli “eroi” che ci avevano salvato dalla pandemia. Ma la memoria degli italiani è molto corta, e quello che si è affermato, con una certa prosopopea, il giorno prima, viene smentito dai fatti solo il giorno dopo.

Giuseppe Fauceglia

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