“Sono in continua ricerca dello sbaglio perfetto! – afferma l’artista – L’atto d’amore che c’è dietro qualsiasi forma d’arte è da sempre motivo di rivoluzione del proprio io, dell’inconscio più profondo, dell’espressione emotiva e sentimentale, che muove gli occhi e la mano con il pennello è libera di agire, spinta da un entusiasmo a tratti preoccupante per quanto sia magico l’atto stesso! Quasi una sensazione incontrollata, alla fine di ogni mia opera, mi soffermo e penso con l’aria imbambolata, ma come ho fatto? Non ricordo nemmeno un passaggio di ciò che ho fatto! E se tutto procede bene qualche lacrima non la risparmio!”
Cristian ha ereditato la passione per i presepi dal padre che lo portava – “Mio padre si divertiva a dilettarsi, io ovviamente ho dato a quest’arte un ulteriore posto artistico nella mia vita, questa è vera e propria arte”. Da credente qual è Cristian dà grande rilievo alla Parola sacra – studiando tecniche e storie, ha imparato a conoscere ogni pastore e il suo significato, ogni oggetto e ogni struttura architettonica.
“Stracci di un passato” è il titolo dell’opera che verrà esposta in Vaticano dall’ 8 dicembre 2024 al gennaio 2025. La scenografia rappresenta una vecchia facciata di un fabbricato, probabilmente di un antico casato, testimonianza le maioliche dipinte a mano sul pavimento, dove il tempo ha ormai fatto il suo dovere, a ridare vita al vecchio portone diroccato, è quello che sembra ormai il deposito di qualche viandante, che trova riparo sotto un drappeggio di fortuna su di una sedia malconcia, i frutti della natura colorano i rami intrecciati del pergolato naturale , nella cesta giace il pescato, qualcuno probabilmente l’avrà poggiato lì in attesa di rincasare, gli animali sono di passaggio e le condizioni igieniche non sono delle migliori!
Ma questa “vita” fa sì che lo scenario abbia di nuovo la sua luce, nonostante le ombre del “buio abbandonato”, alla fine della giornata i chicchi d’uva torneranno a vedere le tenebre, finché qualcuno non provveda alla loro raccolta, il fiasco impolverato, le ceste in vimini, la frutta e le altre cibarie imbandiscono così per dire il terrazzo in cotto antico, e intanto Il Verbo “diventa” carne, non si accontenta di “apparire” nella fragilità delle sue creature, ma condivide la loro fragilità: “diventa” carne, diventa “un” uomo, sottoposto al dolore e alla gioia, alla nascita e alla morte, alla delusione e all’entusiasmo