Lasciando da parte le recriminazioni sulla candidatura Harris, gli osservatori si interrogano sul volto della nuova Amministrazione: chi andrà al Dipartimento di Stato e chi alla Difesa, i due gangli principali, per non parlare delle Agenzie di sicurezza, per il rapporto con il resto del mondo.
I precedenti della sua esperienza presidenziale fanno da vaticinio per la futura.
Europa. Tranne che con i singoli capi di governo, Viktor Orbàn è il suo sostenitore della prima ora, il rapporto con l’Unione nel suo complesso sarà travagliato. L’amore per i balzelli lo porterà ad applicarli alle merci europee se gli stati membri non terranno una condotta adeguata all’interesse americano. Che può cambiare di volta in volta: costringendoci a adattarci di conseguenza, semmai cercando la scappatoia del rapporto bilaterale in omaggio ad una vecchia tradizione di amicizia. La convenienza dovrebbe essere la bussola. Dell’OMC, ed in generale delle organizzazioni internazionali, il Presidente si cura poco o nulla.
Russia. Qualche esponente di rilievo dichiara da Mosca che i rapporti con gli Stati Uniti sono pronti al “reset”. Trump cederà sull’Ucraina? E in quale misura? Potrebbe riconoscere certe conquiste russe come ormai irreversibili, è improbabile che conceda più di quanto ottenuto sul campo, sarebbe accusato di cedimento. La sorte dell’Ucraina nella NATO parrebbe segnata. Non a caso il Segretario Generale Rutte bussa alle porte dei singoli governanti, compresa la nostra Presidente del Consiglio, per sapere se continueranno nel sostegno a Kiev, qualsiasi cosa accada a Washington.
Cina. Trump ce l’aveva con la Cina per lo squilibrio dei conti commerciali. Ignorava, e finge di ignorare tutt’oggi, che la Cina ha nel forziere una quota del debito americano. Il rapporto fra i due paesi è più intricato di quanto la propaganda trumpiana ami fare credere. Sarà accomodante su Taipei o marcherà da presso Pechino perché non si “allarghi” nell’Indo-pacifico?
Medio Oriente. La vicinanza dei Repubblicani a Israele è assoluta, senza i tentennamenti più verbali che sostanziali dei Democratici. Il rapporto prioritario, oltre che con la comunità ebraica americana, è con l’Arabia Saudita. Grande produttore di petrolio, grande compratore di armi americane, il Regno ne vorrebbe di più e più sofisticate.
Per ottenerle deve passare attraverso le forche caudine del riconoscimento di Israele. Gerusalemme ha un diritto di prelazione sugli armamenti di ultima generazione. Occorre d’altro canto che Israele dia vita ad una forma sia pure larvata di due stati-due popoli. Riad vuole evitare che la comunità arabo-islamica finisca preda della propaganda iraniana dura e pura.
Iran. Durante il primo mandato, Trump denunciò il Piano d’Azione sul nucleare marcato Obama. È probabile che insista nel rifiutare le trattative con Teheran sul punto, preferendo mostrare la faccia feroce. La americana o l’israeliana? Non è solo una coincidenza che, alla vigilia delle elezioni americane, Netanyahu abbia sostituito il Ministro della Difesa.
Yoav Gallant era sospettato di scarsa collaborazione in seno al Gabinetto e, soprattutto, di trescare con l’Amministrazione democratica per accreditarsi come successore del Primo Ministro. Con Israel Katz alla Difesa, un duro a giudicare dalle dichiarazioni, le guerre possono proseguire senza intoppi. A meno che Trump non voglia fermarle in omaggio al rapporto con i Sauditi e gli Egiziani. L’Islam Ban del suo precedente mandato teneva fuori dagli USA i musulmani di paesi potenzialmente ostili. Non era, appunto, il caso di Arabia Saudita ed Egitto
di Cosimo Risi
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