Le parole di troppo (di Cosimo Risi)

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L’assalto ai tifosi israeliani ad Amsterdam mostra una serie di incongruenze. La scarsa preveggenza della polizia olandese, anzitutto. La tradizione liberale del Regno ottunde le capacità di prevenzione e, nel vivo dello scontro, della repressione. I tifosi israeliani andavano incapsulati dall’atterraggio a Schipol al decollo. Mai lasciati liberi di scorrazzare per il Dam, anche se non si poteva impedire loro di inneggiare alle stragi di Gaza durante il minuto di silenzio per Valencia.

Il Re dei Paesi Bassi si scusa con il Presidente di Israele, promette mano ferma riguardo ai fenomeni di antisemitismo. Si tratta di capire cosa ne sarà dei fermati: probabile che vengano presto rilasciati in base a qualche liberale legge sulla detenzione. Liberi si, indisturbati probabilmente no. Se identificati dagli agenti israeliani di scorta ai tifosi, potrebbero ricevere una visita monitoria. La dottrina Golda Meir è tornata in auge: nessun cittadino di Israele può essere impunemente svillaneggiato.

Stonano il richiamo alla Notte dei Cristalli, all’antisemitismo dilagante, al Diario di Anna Frank. La Shoah e gli eventi che la precedettero non andrebbero adoperati a misura dell’attualità. In quanto male assoluto, non sono assimilabili ad alcun altro fenomeno: sono unici ed irripetibili. Tali devono restare nell’interesse della civiltà umana, se questa espressione ha ancora un senso.

Il Medio Oriente batte la fiacca. Una fiacca peraltro punteggiata da terrorismo, bombardamenti, rastrellamenti. A Gaza, in Libano, in Cisgiordania. Il Qatar si ritira dalla mediazione sul caso degli ostaggi e chiude gli uffici di Hamas a Doha. Riconosce che le parti non intendono giungere al compromesso, tornerebbe in gioco se quelle cambiassero atteggiamento.

Non accadrà prima di gennaio. Donald Trump muove i primi passi per chiudere le crisi, come da generosa promessa elettorale. La telefonata, assieme a Elon Musk, con Zelenskyy per rassicurarlo del sostegno e spingerlo a miti consigli: la guerra non può essere vinta sul terreno, va chiusa con un compromesso.

La telefonata con Mohammed bin Salman. Il Principe saudita è la chiave di volta. I suoi rapporti di affari con Jared Kushner mostrano una vicinanza alla famiglia Trump che supera l’ambito politico. L’Arabia Saudita sarebbe pronta a riconoscere Israele in cambio di un gesto israeliano a favore della formula due popoli-due stati. Che lo Stato di Palestina sia piccolo e poco viabile sul piano economico, non importa. Conta il gesto.

Per ingraziarsi la destra israeliana, Trump promette quello che in teoria non può dare: riconoscere l’integrazione nello Stato ebraico degli insediamenti in Cisgiordania. La mappa dell’eventuale Stato di Palestina risulterebbe ancora più frammentata dell’attuale. Le IDF dichiarano che non lasceranno reinsediare i residenti nel nord di Gaza. Cosa resterà allora all’Autorità Palestinese? E soprattutto: chi guiderà l’Autorità Palestinese allorché Mahmud Abbas lascerà la presidenza? Sarà quel Marwan Barghouti colpito da una raffica di ergastoli in Israele, sempre che venga rilasciato in cambio degli ostaggi?

Trump ha chiaro il quadro del dopo. Le spese di ricostruzione dell’Ucraina saranno a carico dell’Unione europea. Dovendo attendere venti anni per aderire alla NATO, l’Ucraina può nel frattempo entrare nell’UE. Le spese di ricostruzione di Gaza saranno a carico delle monarchie del Golfo. Le imprese americane saranno chiamate a ricostruire ovunque. America first and everywhere.

di Cosimo Risi

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