Stiamo in questi anni pagando le conseguenze educative del Sessantotto, ribadite nel corso degli anni Novanta, si tratta di un facilismo amorale – come lo definisce nel suo ultimo libro Mario Caligiuri, “Maleducati – Educazione, disinformazione e democrazia in Italia”, edizioni Luiss – che ha accentuato le distanze sociali. Del resto, è sufficiente esaminare le percentuali dei promossi negli istituti di istruzione superiore, per comprendere che, a parte i ricorsi al TAR, per essere bocciati alla maturità è necessario metterci molto impegno.
Il livello della scuola e dell’università è anche il risultato dei frequenti e contraddittori interventi degli ultimi decenni, basti pensare che in quindici governi dal 1998 ad oggi, sono stati per otto volte unificati i Ministeri dell’Università e della Ricerca Scientifica e dell’Istruzione e ben sette volte li hanno scorporati. Segno di una emergenza e di una mancata programmazione, cui sono seguiti i tagli della Gelmini e gli interventi disarmonici di Fioroni e Mussi.
La conseguenza è che le nostre classi dirigenti, il cui livello con la globalizzazione si dovrebbe elevare, è diventato, in qualche modo, più scadente, e ciò resta il frutto proprio degli anni in cui queste classi si sono formate ed istruite, mentre gli artefici del boom economico erano i figli della riforma Gentile. A ciò deve aggiungersi lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, che rischia di creare una divisione castale senza alcun precedente tra una ristretta élite e il resto della popolazione.
Ne discende che una democrazia vera non può prescindere dalla giustizia sociale, che presuppone un sistema educativo pubblico, non affidato alle tante università telematiche, che a volte si sviluppano senza controllo e in assenza dei necessari standard formativi.
Il rimedio, non facile, è quello di assicurare un sistema di finanziamento delle scuole e delle università non collegato al risultato dei “promossi”, ma alla qualità dell’insegnamento e della formazione, velocizzando i tempi di apprendimento, sviluppando una cultura diffusa dell’intelligenza come strumento di comprensione della realtà, così potenziando quel “fattore umano” unico contrasto alla presunta razionalità della stessa Intelligenza artificiale.
Giuseppe Fauceglia