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Tumori, a Napoli il futuro dell’oncologia. Il punto sulle nuove cure e la sostenibilità

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La lotta ai tumori passa per nuove cure personalizzate sempre più basate sull’analisi dello spettro di mutazioni che caratterizzano le linee cellulari colpite. Terapie a bersaglio molecolare che in molti casi stanno letteralmente cambiando la storia dei pazienti cronicizzando situazioni cliniche che, fino a qualche anno fa, erano senza speranza e che davano pochi anni di vita alla diagnosi. È il caso del Mieloma multiplo e di alcuni Linfomi: patologie gravissime, ma oggi curabili con moltissime linee di terapia sempre più efficaci, tra cui Daratumumab, il primo anticorpo monoclonale approvato per il trattamento del mieloma multiplo. Un tumore che colpisce le plasmacellule, ossia le cellule del midollo osseo che derivano dai linfociti B, un pilastro del sistema immunitario deputato alla produzione di anticorpi.

Cure innovative a cui si aggiungono le Car-t, una terapia basata sulla ingegnerizzazione in vitro dei linfociti dei pazienti, “armati” contro il tumore e reinfusi nel malato che stanno rivoluzionando il trattamento di molti tumori del del sangue la cui indicazione si sta allargando a linee oncoematologiche guardando al futuro prossimo del trattamento dei tumori solidi. Infine, gli anticorpi bispecifici che nel tumore al seno sono l’arma letale attesa da anni che stanno cambiando la storia della malattia.

Su questi e altri temi si sono riuniti a Napoli, in un tavolo di approfondimento promosso da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Johnson&Johnson e Gilead, il presidente nazionale dell’Aiom nonché primario dell’Istituto tumori Pascale di Napoli Francesco PerroneGiancarlo Troncone ordinario di Anatomia patologia della Federico II di Napoli, Mario Fusco per i registri tumori, Sandro Pignata, responsabile della Rete oncologica campana, Mario Annunziata e Ferdinando Riccardi rispettivamente a capo della Ematologia ed Oncologia del Cardarelli, Maria Triassi, direttore di dipartimento della Federico II, Vincenzo Montesarchio primario di Oncologia del Monaldi e referente Cipomo, Vincenzo Adamo responsabile della Rete oncologica della Calabria e i chirurghi Franco CorcioneAurelio Costa e Antonio Macri, oltre ad esponenti delle associazioni dei pazienti con Lorenzo Latella (Cittadinanzattiva Campania) e Alessandro Boni (Associazione PalinUro). I saluti istituzionali sono stati affidati a Valeria Ciarambino, vicepresidente del Consiglio Regionale della Campania. L’obiettivo della tavola rotonda dunque è stata definire strumenti di sostenibilità dell’innovazione delle cure in oncologia e consentire un accesso equo e uniforme a cure capaci di cambiare la vita delle persone, cronicizzando malattie che finora non davano scampo.

“Attualmente – ha spiegato il professore Giancarlo Troncone – stiamo assistendo ad un ulteriore sviluppo dell’approccio genomico alla cura dei tumori e a una importante evoluzione nell’uso dei test molecolari di laboratorio, importanti per predire la risposta al trattamento mirato dei tumori solidi.  Ad una diagnostica di primo livello se ne associa dunque una di secondo livello che deve essere svolta in laboratori qualificati e si connette strettamente con le attività del Molecolar Tumor Board, dove vengono stabilite le caratteristiche cliniche delle alterazioni genetiche diagnosticate per una terapia che è sempre più precisa, affidabile, e sempre meno tossica”.

Ma in Campania da un anno non si riunisce la cabina di regia della Rete oncologica e il Molecular Tumor board a fronte di scelte nazionali discutibili come non aver inserito nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) le indagini di profilazione genomica che possono contare, sul riparto di un fondo ancora fermo a soli 5 milioni di euro assegnato per quota alle Regioni. Eppure per il solo carcinoma del polmone “la diagnostica molecolare – conclude Troncone – prevede dieci biomarcatori consolidati e accanto a questi ne stanno emergendo altri che possono essere utili per l’arruolamento in clinical trials per l’uso off label o anche per la determinazione di mutazioni germinali che ci portano ad una fase di prevenzione delle neoplasie molto importante e promettente”.

Da una parte dunque, c’è l’aumento dei casi di tumore che, secondo le stime, sono cresciuti in maniera imponente, con circa 395mila nuove diagnosi nel 2023 e un incremento di 18.400 casi ogni 12 mesi dal 2020 (oltre 30 mila in Campania), dall’altra un netto miglioramento nell’efficacia della prevenzione e delle cure che, in 13 anni, si stima abbiano permesso di evitare oltre 268mila decessi. In questo contesto l’oncologia italiana si trova a un punto di svolta con avanzamenti senza precedenti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori. Le scoperte nei checkpoints immunologici, nella genomica e nei trigger points tumorali delineano nuovi scenari che fino a qualche tempo fa erano inimmaginabili, portando a terapie estremamente mirate ed efficaci. Tuttavia, questi progressi scientifici devono confrontarsi con sfide cruciali di sostenibilità e accesso. Il nodo da sciogliere tuttavia è la sostenibilità di questi sforzi della ricerca se si considera che il fondo nazionale per gli innovativi da un miliardo di euro comprende anche le terapie per le malattie rare.  Il modello mutazionale ha avuto un impatto significativo sui sistemi sanitari, ridefinendo ambiti e competenze professionali. Ma l’innovazione diagnostica e terapeutica rischia di non esprimere tutta la propria efficacia senza un sistema in grado di accoglierla e implementarla. Problemi come l’early access alle terapie innovative, il disallineamento tra diagnostica e farmaci e le difficoltà di rimborsabilità per le terapie target richiedono interventi urgenti.

Per quanto riguarda la sostenibilità della spesa, né la costituzione dei fondi sovraregionali dedicati ai farmaci innovativi, né la riunione dei 2 fondi nazionali (da 500 mila euro) in un unico fondo, né l’eventuale avanzo del fondo restituito alle regioni (non vincolato all’uso per i farmaci innovativi) sembrano aver risolto le molte criticità. Né funziona la recente allocazione di una parte del fondo per i farmaci a innovatività condizionata. La Campania è con la Lombardia tra le regioni che usano per intero i circa 80 milioni del riparto del fondo per l’innovazione, ma c’è preoccupazione costante sulla tenuta dei conti quando, dopo tre anni, i costi di queste cure costose ricadranno sul bilancio dei governi locali per la decadenza del periodo di riconoscimento dell’innovazione a carico dello Stato.

I dati parlano chiaro: secondo le stime, circa il 40% dei nuovi casi di tumore sono potenzialmente prevenibili in quanto correlati a fattori di rischio modificabili. E tra questi, sicuramente, c’è il fumo di sigaretta.  Ed è un dato di fatto che in Italia ci siano milioni di fumatori che non vogliono oppure non riescono a smettere. Diventa allora fondamentale ragionare anche sulle strategie di riduzione del rischio e del danno, valutando l’opportunità di passare a prodotti privi di combustione unica alternativa credibile per ridurre i danni alla salute.

“Negli ultimi anni, vi sono stati tre trial e una revisione sistematica pubblicati su importanti riviste scientifiche internazionali – ha ricordato Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità – da cui emergono alcune prime, importanti evidenze del fatto che l’uso della e-cigarette ai fini della cessazione dell’abitudine tabagica possa essere migliore della terapia medica basata sull’uso sostitutivo dei farmaci”.

Risultati invitano a riflettere sui consigli da offrire nella pratica clinica ai fumatori. Pur ribadendo con fermezza che la scelta migliore rimane quella di non fumare, è emersa la necessità di considerare alternative per coloro che non vogliono, non riescono o hanno già fallito con altri metodi. In questi casi, potrebbe essere opportuno puntare almeno a una riduzione del rischio, sia cardiovascolare che oncologico, come avviene per altri fattori di rischio quali l’ipertensione arteriosa, il diabete e l’ipercolesterolemia.

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