Il sultanato e l’ucronia (di Giuseppe Fauceglia)

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Il termine “ucronia” venne utilizzato per la prima volta dal filosofo francese Charles Renouvier, nel suo “Schizzo storico apocrifo dello sviluppo della civiltà europea, non come è stato, ma come avrebbe potuto essere”, pubblicato in Francia intorno alla metà dell’Ottocento. Il termine, come nota Emmanuel Carrére in “Introducion à l’uchronie”, edito a Parigi nel 1986, è poco noto, essendo stato utilizzato raramente dagli scrittori di fantascienza e dagli storici, tanto da scomparire nel vocabolario di lingua francese “Grand Larousse”, dove pure era stato presente per tutto il secolo XIX. Nella sua versione semantica “ucronia” corrisponde al greco “ou-chrònos”, ciò che non è in nessun tempo (in sinergica corrispondenza con “utopia” ovvero che non è in nessun luogo).

Il sostantivo ha suscitato un certo interesse tra alcuni storici che hanno tentato di rimpiazzare la storia (reale) con ciò che avrebbe dovuto essere o con ciò che avrebbe potuto essere. Chi scrive preferisce quest’ultima opzione interpretativa – perché induce a sperimentare un’ipotesi astratta e senza eccessivo risentimento nei confronti di una storia che si ritiene abbia, in un determinato momento, imboccato una strada sbagliata – per leggere alcune vicende locali, invero di assai modesto significato. Una lettura che non dà luogo a fantasticherie da vegetale o a creazioni romanzesche, volendo, invece, trarre un minimo senso dalla lezione del “presente”.

In questo gioco, mi interrogo, ad esempio, su cosa sarebbe stata oggi la nostra Salerno, ormai irrimediabilmente precipitata al 92° posto della classifica, stilata dal “Sole 24 ore”, per la vivibilità delle città italiane, se nel 1993 la destra missina avesse votato Giuseppe Acocella e non Vincenzo De Luca, arrivato secondo al primo turno; oppure se nel 2021 una parte significativa dell’elettorato di Alleanza Nazionale avesse votato Aniello Salzano e non Mario De Biase; oppure se il centro-destra avesse votato al ballottaggio Alfonso Andria e non Vincenzo De Luca, per altro con  dichiarazione di un suo importante leader, il quale due giorni dal primo turno, in cui concorreva anche un candidato della sua (presunta) coalizione, non avesse dichiarato candidamente di voler appoggiare De Luca al secondo turno.

Tutte le altre occasioni elettorali sono piccoli accidenti della storia locale, sapientemente costruiti con candidature di modesto trompe-l’oeil, nell’illusione ottica di una qualche marginale presenza di apparente opposizione al “sistema” (con la rarissima eccezione di qualche volenteroso consigliere comunale).

Sembrerebbe, sempre con il gioco dell’ucronia, che una parte politica voglia assicurare la stabilità di un sultanato, offrendo in ogni caso al sultano un luogo “amico” in cui rifugiarsi, dopo qualche retrocessione da ruoli più importanti, una specie di esilio dorato, tra mura amiche, in cui il fitto reticolo di interessi protegge da ritenuti indebiti controlli, e in cui la stessa “legalità” dell’agire amministrativo finisce per assumere una connotazione assai peculiare.

Un pò come nel bel romanzo di Orhan Pamuk, “Le notti della peste”, solo che nell’isola di Mingher viene trasferito il sultano Muradin V e non già la principessa Pakiza. Dunque, anche in questo caso una tecnica ucronica per imporre, alla sonnolenta comunità salernitana, una storia controfattuale, per altro dall’incerto futuro per gli interessi della città, ormai abituata al degrado ambientale, culturale e socio-economico o alla selvaggia cementificazione.

Giuseppe Fauceglia 

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