L’immigrazione clandestina e la Libia (di Cosimo Risi)

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Malta ha la presidenza di turno dell’Unione europea e consacra l’impegno a La Valletta con l’invito ai capi di stato o di governo dell’Unione. L’invito è rivolto anche alla Premier del Regno Unito, che resta stato membro a tutti gli effetti finché non si esaurisce la procedura di recesso (Brexit).

Il Consiglio europeo informale della Valletta discute di Libia sotto il duplice aspetto della stabilizzazione del paese e del controllo dei flussi migratori.

Prosciugata o quasi la rotta balcanica grazie all’intesa con la Turchia, resta aperta la mediterranea che, con l’approssimarsi della buona stagione, conoscerà nuovi fasti. Italia e Malta sono i frontliners , gli stati membri cerniera e vittime della rotta che li vede come primo e, nel caso italiano, anche  ultimo approdo dei flussi che partono prevalentemente dalla Libia.

La situazione libica ci è ben nota. Le ex potenze coloniali hanno il dubbio vantaggio di conoscere meglio di chiunque altro quanto accade nelle ex colonie. All’Italia spetta questo primato con la Libia, che però non ci servì, anzi ci fu addirittura opposto, quando la coalizione franco – britannica decise di spodestare Muammar Al-Qaddafi nel 2011. La manovra fu presentata come umanitaria: per proteggere parte della popolazione dalla repressione di massa minacciata dal regime.

Da allora la comunità internazionale è in cerca del nuovo Qaddafi, una personalità forte, ma senza gli eccessi del defunto Colonnello, in grado di riportare l’ordine nel paese per proteggere due primari interessi d’Europa: la salvaguardia dei giacimenti di idrocarburi, il controllo dei porti. Da allora la ricerca individua interlocutori libici tanto vogliosi quanto incapaci di fare. Una pluralità di soggetti si affaccia sulla scena, ciascuno a vantare un potere che non ha e comunque non nella misura che dichiara.

In Libia si muovono decine di milizie, i governi o sedicenti tali sono almeno tre, ciascuno con un potere limitato alla zona di rispettiva influenza. A meno di clamorosi sviluppi come l’auspicata riconciliazione nazionale, lo stato di cose è destinato a durare e la comunità internazionale negozierà con l’interlocutore di turno senza sapere fino in fondo se questi sarà in grado di dare corso alle intese.

Prima di volare a Malta, il nostro Presidente del Consiglio ha ricevuto a Roma il Premier libico riconosciuto dall’ONU, quel Fayez Al-Sarraj che parte della comunità internazionale  ritiene l’equivalente di un sindaco di Tripoli, altro che Primo Ministro di Libia. L’uomo forte di Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, gli contesta lo scettro in un gioco ambiguo di minacce e professioni di buona volontà.  Italia e Unione europea danno mostra di credere in Sarraj.

Sarà pure un atto di fede, ma da qualcosa bisogna  cominciare se si vuole dare risposta ad un’esigenza fondamentale delle popolazioni europee: frenare se non bloccare il flusso di migranti che, a vario titolo, si spingono sulle coste meridionali dell’Unione e che là rimangono in buona parte essendo rifiutati dai partner orientali.  Ci sta ovviamente la sensibilità umanitaria: più flussi significano più rischi di affondamenti durante la traversata. Ci sta soprattutto lo scrupolo politico dei governi europeisti di non lasciare il tema migratorio in balia della propaganda reazionaria. Propaganda che potrebbe portare alcuni partiti poco o nulla europeisti alla vittoria nelle prossime tornate elettorali.

E allora perché scegliere un interlocutore libico quanto meno controverso? Alla domanda cercano di rispondere alcuni commentatori fra i quali Lucio Caracciolo (La repubblica, 4 febbraio 2017). In parte per una pia illusione, in parte per amore di propaganda, in parte per coprire con la diplomazia certe operazioni da dissimulare. Dei primi due punti si è detto. Dell’ultimo è bene dire il poco che conviene a manovre sotto copertura: l’intesa con  Tripoli per sorvegliare le coste con la guardia costiera nazionale dovrebbe consentire alle pattuglie europee di condurre esse stesse le operazioni.

di Cosimo Risi

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