Nel contempo, ancora ieri, a Milano, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha lanciato un grido di allarme in ordine al fatto che il 55% circa dei 4.000 miliardi di risparmio delle famiglie italiane risulta investito in “strumenti molto rischiosi, azioni, fondi, derivati, riserve assicurative”.
E questo, principalmente a motivo della crisi internazionale del 2007 e la perdurante fase storica dei “tassi zero”, ma anche a seguito della scarsa e talvolta cattiva informazione che circola a svantaggio degli investitori tradizionali, e quindi banche commerciali, imprese e famiglie.
Per queste stesse ragioni, il convegno di primavera organizzato sempre ieri a Roma, da Itinerari Previdenziali, dal tema Investimenti tradizionali e alternativi nell’era del “tasso zero”, è stato particolarmente tempestivo oltre che, com’è abitudine del Network, ricco di approfondimenti.
Così come delineato nel corso dell’incontro, il quadro politico pare ormai volgere, sia pure a grandi linee, verso un graduale ottimismo. Dal primo intervento, che definirei in controtendenza, del Sen. Prof. Giulio Tremonti all’intervento, che definirei viceversa realistico e al solito puntuale, del Viceministro dell’Economia e delle Finanze Enrico Morando.
In apertura, Tremonti ha citato ancora una volta una delle più famigerate profezie di Karl Marx, ovvero quella secondo la quale “i tassi a zero potrebbero segnalare la fine del capitalismo”. L’ex-Ministro dell’Economia e delle Finanze dei governi Berlusconi II-III e IV, quasi ininterrottamente dal 2001 al 2011, ha legato la profezia a una serie di “segni” politici emersi nel tempo della crisi, che esprimerebbero piuttosto il rifiuto del sistema di globalizzazione costruito dall’“élite” internazionali di governo nei riguardi dei “popoli” governati.
I fenomeni in questione sono stati rapidamente elencati: immigrazione, rivoluzione digitale, linguaggio di “potere” delle cancellerie, a detta del Senatore simile a quello del 1914, e soprattutto le degenerazioni della finanza globale. Uno scenario in cui l’Europa ha pagato e pagherebbe ancora lo scotto maggiore.
L’attuale Viceministro, Enrico Morando, ha invece parlato di chiari segnali di ripresa dell’economia internazionale – anche italiana, ma che in tal caso vanno ancora sostenuti e quindi consolidati -, in un quadro politico complessivo ma soprattutto europeo in cui vige “l’attesa razionale di eventi positivi”.
Considerazione questa che, occorre evidenziare, è stata svolta poche ore prima dell’esito che in generale appariva ancora incerto dell’elezioni politiche in Olanda; e che invece, corrispondentemente alla nota espressa, hanno registrato due dati di gran lunga positivi: un’affluenza record al voto dell’81% e la sconfitta della destra islamofoba del “populista” Geert Wilders.
Nel dettaglio della fase a cui è destinata l’economia del nostro paese, Il Viceministro ha comunque sottolineato la necessità di alimentare la fase, avviata dal precedente governo, degli investimenti privati e pubblici di tipo produttivo, mediante lo strumento previsto nella Legge di Stabilità 2017 della defiscalizzazione e misure d’intervento in fase di attuazione che orientino il risparmio verso la finanza d’impresa.
In ordine a tali sviluppi, due dati appaiono estremamente significativi: un crollo degli investimenti nel periodo 2007-2014 pari al 30% circa e viceversa una ripresa del dato definitivo registrato per il 2016 pari a + 1,5%.
Funzionale a questo quadro mutato, è risultato soprattutto l’intervento estremamente del Presidente di Assofondipensione, Giovanni Maggi. Il quale ha evidenziato che in Italia i problemi sono essenzialmente tre, e in primis il problema della disoccupazione.
A cui fanno seguito i problemi, ripetiamo affatto secondari, relativi a ingenti livelli di tassazione e altrettanto imponente burocratizzazione gestionale del sistema. Ha precisato inoltre che i fondi pensione che operano attualmente in Italia sono 31 e gestiscono un patrimonio di circa € 46 miliardi. Negli ultimi 15 anni, a cavallo della crisi, i fondi pensione italiani hanno dato prova di garanzia – e infatti, nonostante la crisi, le cronache non hanno registrato alcuno scandalo che abbia coinvolto le gestioni operative – e solidità – investendo il relativo capitale per circa il 70% in titoli di debito pubblico e circa il 23% in titoli azionari.
Per il futuro, egli ha quindi suggerito di destinare il 10-12% del capitale d’investimento dei fondi pensione per lo sviluppo e la salvaguardia dell’economia reale del paese. Così, evitando che possano anche ripetersi altri fatti in danno dell’economia italiana del tutto simili a quello di Pioneer Investments del dicembre scorso, quando, mediante l’acquisizione dei francesi di Amundi, circa “€ 250 miliardi di risparmio gestito” sono passati dall’Unicredit in mano francese.
Angelo Giubileo
Commenta