Di essa, in attesa del risultato matematico, ci attraevano le asticelle dei registri che salivano e scendevano, il cigolio del motorino elettrico e l’odore del lubrificante usato per ridurre gli attriti tra i meccanismi, tanto più acre quanto più si riscaldava in conseguenza dei movimenti imposti dal calcolo.
Era il simbolo dell’ingegno italiano, ora in mostra permanente al MoMA di New York.
Le cose sono molto cambiate in questi anni e, oggi, la tecnologia non ha rumori né odori ed è certamente più compatta, veloce e sicura.
Ma è molto più pericolosa.
Perché, a quel tempo, un errore nella impostazione dei dati si correggeva facilmente. Bastava rifare il calcolo.
Adesso, un errore nella pressione di un tasto può scatenare conseguenze inimmaginabili se a quel comando fossero collegate, a cascata, ulteriori applicazioni. Basta ricordare alcune clamorose operazioni speculative di Borsa digitate con il segno contrario.
La tecnologia va gestita con cognizione, impone una adeguata preparazione e un aggiornamento continuo, per non restare indietro. Se, poi, è parte di processi complessi, allora essa richiede le competenze rafforzate di “dottori” in grado di dialogare incomprensibilmente con macchinari incomprensibili.
Nella nostra Città, l’introduzione di procedure digitalizzate è in progresso, ma appare circoscritta al semplice aggiornamento delle aziende esistenti mancando, di fatto, insediamenti di nuove iniziative di qualsiasi genere. Sull’argomento abbiamo già espresso il nostro pensiero (cfr. salernonotizie.it – 25/10/17 e 08/11/17) riferendo della “classe di merito BA4” assegnata al nostro territorio dall’Istat nella “regionalizzazione del territorio italiano in sistemi locali”: “sistema senza nessuna attività industriale e nessuna attività specializzata, nemmeno nel settore terziario”.
Del resto, poiché tra i nostri laureati c’è una presenza ancora limitata di giovani “scienziati”, molti dei quali, peraltro, subito dopo la laurea cercano (e trovano) lavoro in distretti più avanzati d’Italia e oltre, non sembra neppure esercitabile una pressione specifica per l’apertura di aziende innovative.
In sintesi: non ci sono aziende di/con alta tecnologia, perché non sono presenti condizioni favorevoli al loro insediamento, ma non ci sono neanche giovani laureati “tecnologici” in numero sufficiente per richiamarle.
In ogni caso, l’introduzione dell’alta specializzazione nei processi dell’industria, fase nota come “4.0”, rischia di accrescere ulteriormente la crisi del mondo del lavoro a causa di nuovi cicli produttivi “a bassa intensità di manodopera”. E’ di questi giorni la notizia di una grande industria dolciaria che investirà in Umbria forse 80milioni di euro per nuove linee automatizzate, gestite da robot, e licenzierà almeno 85 dipendenti.
Cosa possiamo sperare per i nostri disoccupati, anche con ridotta professionalità? Purtroppo, il 75% dei giovani fino a 29 anni sarebbe privo di laurea (cfr. salernonotizie.it – 01/11/17).
Per questo riteniamo, e abbiamo già sostenuto, che un progetto di moderna industrializzazione delle nostre aree non possa prescindere da una opportuna combinazione tra aziende tecnologiche ed aziende ordinarie da legare in “relazione sinergica” perché le attività espletate possano essere di reciproco supporto.
E che, preliminarmente, sia indispensabile attribuire al territorio precisi indirizzi produttivi rispettosi dei caratteri identitari costituiti da tradizioni agricole, da esperienze artigianali, da abilità commerciali, da saperi, da sapori e da impegno e dedizione della forza lavoro.
Nel precedente intervento, abbiamo anche elencato le attività “ordinarie” che potrebbero costituire lo zoccolo “duro” del futuro tessuto produttivo, individuandole in quelle orientate all’utilizzo delle materie prime locali, con particolare riguardo alle produzioni agricole. Un sostegno per valorizzare il lavoro dei campi e per elevare il reddito delle famiglie coltivatrici delle aree interne.
Noi pensiamo, in sostanza, che la nostra Città debba puntare su “attività verdi per processi e per prodotti” divenendo l’esempio di come sia concretamente possibile utilizzare le moderne tecnologie per lo sviluppo di un’area “non tecnologica” e con elevate qualità ambientali.
Il rispetto della sua “identità mediterranea” consentirebbe, tra l’altro, di esaltarne anche la vocazione turistica supportata dalla ineguagliabile posizione strategica compresa tra la Costiera Amalfitana, già dotata di forte richiamo, e quella a Sud, purtroppo ancora da sviluppare per l’assenza di una progettualità unitaria e condivisa che renda possibile una seria qualificazione di luoghi oggi sede di devastazioni, vandalismi e prostituzione.
Ma di questo parleremo nei prossimi interventi.
Premesso, quindi, che la compatibilità ambientale deve costituire il termine di paragone per valutare la idoneità dei nuovi insediamenti tecnologici, riteniamo che sia doveroso puntare su aziende frutto della “auto-imprenditorialità giovanile”, magari supportate dalle Facoltà Scientifiche del nostro Ateneo, per esprimere la capacità dei giovani di “mettersi in gioco” e per dare prova dell’elevato livello delle loro competenze a favore di auspicati investitori esterni.
E, quindi:
– aziende per le energie alternative: macchinari destinati all’utilizzo dell’energia solare ed eolica; attrezzature per l’integrazione tra nuove fonti ed energie tradizionali; mezzi di locomozione per la piccola mobilità (bici elettriche o piccoli van); centri di ricerca;
– aziende per la depurazione di aria e acqua: macchinari per la depurazione industriale e apparecchiature per le esigenze familiari; laboratori di analisi;
– aziende per le bonifiche ambientali: macchinari per il ripristino di igiene e sanità di luoghi e di ambienti; centri di servizio collegati;
– aziende per il risparmio energetico: apparecchiature di controllo dei consumi ad uso industriale e privato; centri di ricerca;
– aziende per la riduzione e il trattamento domestico dei rifiuti: macchinari, laboratori e servizi collegati;
– aziende per attrezzature medicali e per il benessere fisico: attrezzature per i controlli medici domestici; attrezzature per il tempo libero;
– aziende per il riciclo degli scarti e degli imballaggi: macchinari e centri di ricerca;
– aziende per l’aggiornamento tecnologico dei cicli produttivi: macchinari per le aziende agro-alimentari, del cuoio, delle calzature, del tessile, dell’abbigliamento, della ceramica, dell’artigianato e della nautica da diporto.
Sono solo alcuni esempi di possibili aziende “tecno-green”. Già presenti nel nostro Paese. Ma non qui.
Ora, se al mondo imprenditoriale resta senz’altro demandato il compito di realizzare le nuove attività, ovvero anche di adeguare quelle esistenti, magari utilizzando le opportunità finanziarie e fiscali della istituendo area ZES, riteniamo spetti alle Autorità locali, Pubbliche e Private, individuare le priorità produttive e predisporre un preciso quadro di regolamentazione degli insediamenti (ne abbiamo parlato il 25/10/17).
Fare del nostro territorio un’area “verde per processi e per prodotti”, certificandola con uno specifico marchio di qualità, posto sotto il controllo pubblico, significa iscrivere la Città nel ristretto gruppo delle “comunità avanzate” e dimostrare che, da noi, sensibilità e raziocinio si integrano al massimo livello con la difesa della identità e con l’amore nei confronti della parte più debole della popolazione. Quella dei disoccupati in cerca di lavoro.
Questa Città ha bisogno di amore.
Associazione Io Salerno – Officina di Pensiero
(a Mercoledì prossimo)
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