Creò il modello letterario della biografia.
Ai nostri giorni scriverebbe delle vite parallele del Presidente di Russia e del Presidente degli Stati Uniti, gli uomini più potenti al mondo, quelli che si vuole capaci di scatenare la guerra nucleare. Per sopravvivere, dobbiamo contare sulla loro saggezza.
Vladimir Putin è il decano delle relazioni internazionali. Già Presidente per due mandati nei primi anni duemila, osserva un turno da Primo Ministro del Presidente Medvedev, torna Presidente per il terzo mandato, lascia pensare che correrebbe per il quarto.
Nel 2017 mette a segno alcuni colpi da manuale delle relazioni internazionali: come ottenere molto con relativamente poco. Il suo campo da gioco è l’area che va dal Medio Oriente al Golfo.
L’Occidente esita ad intervenire in Siria, ridimensiona la presenza in Iraq a favore delle forze nazionali. Il DAESH – ISIS costituisce il Califfato in quel vuoto di potere, profitta della guerra civile scatenata in Siria contro il regime di Assad da elementi che si ritengono filo-occidentali.
Il Califfato estende il controllo ad una vasta area fra Iraq e Siria. Il regime di Assad vacilla sotto i colpi di una congerie di oppositori. Si parla della sua rimozione: il classico cambio di regime (in diplomatichese: regime change) che tutti dichiarano di non volere ma che di fatto perseguono tramite terzi.
La Turchia abbatte un aereo russo nel teatro di battaglia, i rapporti fra Ankara e Mosca si riducono ai minimi termini. Putin decide d’intervenire in Siria a sostegno di Assad contro gli oppositori interni e il DAESH.
La lotta al terrorismo è l’obiettivo di fondo della campagna militare, che impegna anche le forze di terra: i famosi “stivali sul terreno” (boots on the ground) che, da nemesi della politica estera americana, non lo sono manifestamente per quella russa. Assad resiste ai colpi, non si parla più della sua rimozione immediata. Il DAESH arretra fino ad un modesto ridotto, in compenso addestra i terroristi perché portino la minaccia in Occidente, l’Europa ne sa tristemente qualcosa.
Col processo di Astana, capitale dell’alleato Kazakistan, la Russia conclude un’intesa con Iran e Turchia per stabilizzare la Siria e combattere insieme il terrorismo sunnita. La Turchia è sunnita e fino a poco tempo prima avversaria della Russia. L’Iran è sciita e fino a poco tempo prima poco sensibile alla Russia.
Israele chiede alla Russia di evitare che l’Iran schieri truppe e milizie a ridosso del confine con lo stesso Israele. La Russia ottiene dall’Egitto le basi per esercitare l’aviazione militare, di là può meglio influenzare la Libia e sostenere l’amico Generale Haftar. La Russia torna alla grande in Medio Oriente dopo che l’Unione Sovietica ne fu esclusa dall’egiziano Sadat nei lontani settanta del XX secolo.
A Washington il Generale Michael Flynn, prima nominato da Trump Consigliere per la sicurezza nazionale e poi allontanato dall’incarico per sospetta vicinanza ad ambienti russi, dichiara agli inquirenti la disponibilità a collaborare.
Sarebbe stato testimone ed attore dei contatti dello stesso Trump con emissari russi durante e dopo la campagna elettorale. Che hacker russi abbiano penetrato gli archivi della candidata democratica Hillary Clinton, pare accertato dalla polizia federale.
Che esponenti di spicco della finanza russa siano stati contigui al candidato repubblicano, è da accertare. Lo scandalo si promette succoso ed i media americani, in generale poco simpatici con Trump, hanno di che scavare.
Il Presidente americano si avvia a diventare “un’anatra zoppa” appena al secondo anno di mandato? Non sarebbe un successo per Putin, che sul collega repubblicano punta per stemperare il rapporto cogli Stati Uniti dopo la poco felice parentesi di Obama. La Russia esce dall’isolamento in Medio Oriente, rischia di finire nel cono d’ombra in America per una vicenda che comunque la vede parte interessata.
di Cosimo Risi
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