Non è l’almanacco di Frate Indovino, quello che le nonne appendevano in cucina per il conto dei giorni, è il calendario presumibile se non probabile della formazione del nuovo governo. Sempre che uno nuovo sostituisca l’attuale.
Si dirà del precedente tedesco. In Germania hanno votato a settembre 2017 ed a marzo 2018 sappiamo soltanto che si ricostituisce la grande coalizione, la stessa che la SPD in fase di campagna e dopo la sconfitta aveva esorcizzato come il male peggiore. Mai più con la coalizione CDU – CSU, meglio l’opposizione per rigenerarsi e, ambiziosamente, rigenerare la sinistra europea.
Del resto fu dal Programma di Bad Godesberg (1959) che cominciò il viaggio della socialdemocrazia tedesca verso il Cancellierato con Brandt e Schmidt per concludersi con Schröder.
Il precedente tedesco mitiga la nostra attesa, non convince i partner europei che valga in Italia. Alcune capitali si stanno posizionando per il 2019, l’anno dei cambi ai vertici europei. Si rinnovano il Parlamento europeo e la Commissione, scade il mandato di Draghi alla guida della BCE.
Scemerà il QE, il quantitative easing che pompa denaro nel sistema per stimolare la domanda. Sette stati membri del nord pronosticano la stretta sui debiti sovrani proprio in vista di quella scadenza e ritengono “naturale” la candidatura del Presidente della Bundesbank alla testa della BCE o quanto meno di un nordico dopo il francese Trichet e l’italiano Draghi.
E’ possibile che le idee dei Sette non abbiano adeguato seguito e che la candidatura Weidmann non trovi i necessari consensi. A distanza di un anno, come usa dire, tutti gli scenari sono aperti. Di sicuro, nell’immediato, l’Italia ha difficoltà a fare pesare il proprio ruolo negoziale nelle decisioni che contano in seno alla zona euro.
La Germania è accreditata della stabilità politica strutturale. La Cancelliera Merkel, per quanto indebolita dal voto, governa da tre mandati ed ha il quarto alle porte. Diverso è il caso italiano. Da noi la maggioranza di governo è oggetto di speculazioni dei giornali e delle trasmissioni televisive, nei fatti è di là da venire.
Si dirà del precedente spagnolo. In Spagna una sequela di elezioni ha confermato al governo i Popolari di Rajoy. Gli osservatori si stupivano che l’economia tirasse lo stesso malgrado il vuoto di governo. Come se i mercati avessero deciso di prescindere dalla mano politica per muoversi in maniera autonoma. Neppure le pulsioni indipendentiste della Catalogna hanno scalfito la prestazione del Regno.
Qualche segnale della neutralità dei mercati lo si percepisce pure da noi. Il temuto spread (la differenza dei tassi fra Germania e Italia) è tenuto sotto controllo. L’economia reale continua a girare, sia pure più lentamente che altrove, e ciò nonostante l’incertezza nei palazzi romani. Eppure lo stato dell’economia al Sud, al pari dello stato della sicurezza al Nord, è stato l’argomento portante dei recenti successi elettorali.
La Commissione europea si mostra prudente nei giudizi e incline all’attesa. Manifesta fiducia nella saggezza del Capo dello Stato. Attende di valutare il DEF (documento economia e finanza), che il Governo in carica presenterà il 10 aprile al nuovo Parlamento e segnatamente la versione che questo licenzierà per Bruxelles sotto forma di risoluzione. Alcune voci destano inquietudine. Il reddito di cittadinanza e la flat tax sono in cima agli interrogativi. Saranno introdotti sin d’ora e con quale ampiezza? La partita si annuncia appassionante.
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