“Vedete – ci disse – queste pietre sbrecciate e nere sono vecchie assai. Più di papà, del nonno e del bisnonno. E sono state fabbricate in una sola notte dal diavolo. Questi sono gli Archi del Diavolo”.
Ne fummo terrorizzati. Noi, giovani ragazzetti, a scuola presso l’Istituto di Suore di via Rafastia, sempre pronti a recitare un “Pater” o una “Ave Maria”.
Da allora, non ci furono discussioni: se la mamma voleva essere accompagnata alla Standa, si “scendeva” passando per la più tranquilla “discesa della Villa”. Altrimenti, a casa.
Tutto questo fino a quando non prendemmo il coraggio di approfondire. A chi chiedere? Decidemmo di rivolgerci ad una istitutrice dal nome rassicurante, Suor Angelica, che educava i bimbi della quinta.
Capimmo, così, che quegli archi erano i resti di un antico acquedotto e che le voci di magie e diavolerie erano ricostruzioni di fantasia come le favole di Pollicino o di Cappuccetto Rosso.
Non capimmo, però, perché mai quelle “pietre”, così importanti, fossero in stato di grande abbandono, avviluppate entro cavi elettrici e telefonici, trapassate dai flussi stradali e assediate da auto in sosta a ridosso di ogni colonna.
E fu così per molto tempo. Fino a quando la rinascita dei primi anni ‘90 non interessò anche quell’area con la creazione di una “ciambella” di marciapiede a parziale protezione dei pilastri, la ripulitura delle arcate e la creazione di una “illuminazione d’accento” la cui installazione, a quel che si vede tuttora, fu verosimilmente affidata a operatori poco competenti o quantomeno malaccorti.
Da allora, il vento del rinnovamento si è progressivamente affievolito, trasformandosi prima in brezza e poi in bonaccia o “calma piatta”; una condizione, questa, che oggi non assicura neppure la difesa di ciò che è stato lodevolmente realizzato.
E, infatti, a parte la ciambella del marciapiede, perennemente sotto l’assedio delle auto, tutto il resto è segnato dall’abbandono. I fili elettrici permangono ancorati ad un paletto di metallo arrugginito, i rovi hanno invaso una parte preponderante degli archi superiori e le luci hanno smesso di funzionare ormai da lungo tempo, appena qualche mese dopo la loro accensione. E qualche pietra, ogni tanto, cade.
Da vestigia storica a rudere, il passo è breve.
Eppure, gli “Archi del Diavolo” sono tuttora presentati come uno dei principali monumenti della Città, testimonianza della sua vita millenaria, e costituiscono una immagine identitaria riprodotta nelle foto, nelle guide e nelle pubblicazioni turistiche.
Il che è assolutamente giusto. Perché il turismo internazionale preferisce il nostro Paese (prima destinazione desiderata al mondo – fonte Ipsos 2016) proprio per la storia, l’arte e i monumenti, oltre che per la qualità della vita, la creatività, l’inventiva e, ancora, per l’offerta enogastronomica.
Quindi, se le memorie storiche di cui disponiamo possono costituire un attrattore a sostegno della crescita economica e sociale della nostra gente, è più che doveroso esaltarle nei confronti di quel tipo di turismo che si intende richiamare.
E, però, visto lo stato dei luoghi, ci interroghiamo su quale possa essere la reazione del viaggiatore al cospetto degli Archi.
E, ancora, su quale possa essere il suo giudizio sulla qualità di questa Città nel percorrere Via Velia, strada anoressica con marciapiedi di minima larghezza, sbrecciati e rattoppati, invasi da escrementi di diversa natura, soffocata da auto in sosta in ogni dove, con le “mezzelune” per gli alberi cementificate o con improbabili fusti di pitosfori ingialliti, esangui e morenti, con affissioni pubblicitarie invereconde e con una illuminazione che, di sera, induce ad una depressione più nera del buio dei luoghi.
E’ questo il nostro turismo di qualità?
Noi pensiamo che gli Archi di Via Arce, con tutto ciò che ruota intorno alla vita del suo costruttore, Pietro Barliario, possa essere fonte di opportunità inimmaginabili in chiave turistica laddove convenientemente inseriti in un “percorso storico”, di grande impatto emotivo, costruito attraverso i luoghi dove si svolse la vita, reale o fantastica, del nostro grande predecessore e secondo la memoria tramandata dai libri e dalla credulità popolare.
A cominciare da quella Via San Benedetto, pure frequentata dal mago, per la quale, nel commento della scorsa settimana, abbiamo presentato le nostre proposte di riqualificazione prevedendone la integrale pedonalizzazione.
E proseguire, poi, lungo Via Velia, dall’incontro con Via San Benedetto e fino agli Archi, che presenta le medesime caratteristiche perché egualmente svincolata dalla mobilità generale e perché divenuta, anche essa, niente altro che un’area di parcheggio a favore dei tanti che si recano in auto al centro e, magari, scommettono sulla assenza di controlli pagando il “grattino” per una sola ora.
In sostanza, noi riteniamo che la rivitalizzazione di tutta l’area non possa prescindere da una preliminare e sostanziale modifica della circolazione stradale che consenta una diversa modalità di fruizione degli spazi. Per i pendolari, tocca ai responsabili rendere efficaci ed efficienti i trasporti pubblici ovvero facilitare la creazione di nuovi parcheggi su superfici, pure esistenti, nei pressi.
Quindi, nella parte alta, il transito delle auto dovrebbe essere consentito esclusivamente per Via Gonzaga su Via Arce, in salita, mentre, nella parte bassa, dovrebbe essere realizzata una “rotazione” con ingresso da Piazza XXIV Maggio verso via Pirro (con inversione del senso), via FieraVecchia (idem), Via Cuomo e uscita nuovamente sulla Piazza.
Tutte le altre strade, peraltro corte e strette, dovrebbero essere trasformate in un unico percorso pedonale con inizio dalla piazzetta di Via FieraVecchia e, a seguire, lungo la prima parte di Via Cuomo, Via San Benedetto e Via Velia e, più in su, per il tratto iniziale di Via Pirro e quello finale di Via FieraVecchia.
Uno slargo accoglierebbe i turisti in prossimità degli Archi, da ripulire e illuminare dignitosamente, consentendo la sosta e il riposo anche grazie a strutture mobili disposte da esercizi commerciali di ristorazione e somministrazione.
In questo modo, si verrebbe a realizzare una penisola di espansione degli spazi del Corso che faciliterebbe, tra l’altro, una migliore distribuzione dei punti di incontro e socializzazione, apportando nuova vitalità a tutto il “centro del centro”, e favorirebbe l’insediamento di nuove tipologie di attività secondo le regole dei “Centri Commerciali Naturali”. Pensiamo, in particolare, a circoli letterali, a locali per la diffusione della musica dal vivo, a mostre e a botteghe per l’esercizio delle arti.
Un’area vasta, con nuova pavimentazione, illuminata e alberata a tema, arricchita con panchine ed elementi di arredo in ceramica, giochi per bimbi e “scherzi d’acqua”, dove le risorse storiche e artistiche si fonderebbero con il sapere e il saper fare offrendo ai visitatori una immagine di grande qualità, dignità e decoro.
Noi pensiamo che sia giunto il tempo di prendere in mano il ridisegno della Città e di dare origine ad un nuovo periodo di rinascimento secondo una visione urbanistica del tutto nuova che restituisca spazi, aria, luce e sole e sia più rispettosa dei veri bisogni della comunità.
Noi non sappiamo se gli Archi furono il frutto di formule magiche del mago Barliario e, comunque, non crediamo che questa Città, per ripartire, abbia necessità di maghi e di magie.
Ha solo bisogno di ragionare in modo diverso.
Questa Città ha bisogno di amore.
Associazione Io Salerno – Officina di Pensiero
Salerno è morta definitivamente ed è stata pure sepolta! E’ inutile elencare le cose che si sarebbero potuto recuperare e che invece sono state abbandonate. Si parla degli archi del diavolo, una tra le tante; questi sono stati tagliati in corrispondenza del trincerone e la cosa la dice molto lunga sulla cultura che pervade ed ha pervaso le amministrazioni di questa città, dove si è pensato solo a svendere ogni metro quadrato, anche di mare, a palazzinari senza scrupoli che hanno fatto il bello e il cattivo tempo con la complicità, molto interessata, delle amministrazioni di questi ultimi venticinque anni. Altro che ridisegno della zona in cui insistono gli archi del diavolo, qui bisogna fare prima tanta lezione agli amministratori che, in quanto a conoscenze, beh, lasciamo perdere, meglio non parlarne!