Un giorno dopo quel drammatico anniversario, ieri, Carlos Bacca e Mateus Uribe hanno sbagliato due rigori nel match contro l’Inghilterra, e la Colombia è tornata a casa. Non è passata nemmeno una notte e contro Bacca e Uribe si sono scatenati gli utenti social, e non sono mancate le minacce di morte.
Anche chi volesse sostenere che uno sfogo sui social non è equivalente a un omicidio, che è innegabile, sulla Colombia bisogna tenere sempre l’attenzione alta. Gridare (questo significa sui social e nelle chat il tutto maiuscolo) “muoia Carlos Bacca, figlio di p****a, non ti vuole nessuno. Non tornare in questo Paese”. O ancora: “E’ stata l’ultima partita di Uribe, è già morto”.
Quello di Escobar non è stato purtroppo un caso unico. In Colombia, nel 2011, è stato ucciso un altro calciatore: si tratta di Edson Charà, assassinato con vari colpi di pistola mentre si trovava con un gruppo di amici davanti alla casa dei genitori. E nel primo match di questo mondiale, minacce di morte sono arrivate anche a Carlos Sanchez, espulso nella partita contro il Giappone.
Scrivevamo nel 1994 su Repubblica: “Erano in quattro, gli assassini. C’ era anche una donna. Hanno avvicinato all’ uscita del ristorante la loro vittima. Gli hanno rinfacciato la sconfitta della Colombia contro gli States. Non si sono fermati agli insulti. ‘Grazie per il gol’ hanno urlato in faccia ad Andres Escobar. L’agnello da sacrificare, da sgozzare. Da punire per aver infilato il piede al momento sbagliato nel punto sbagliato. Poi hanno sparato, devastandolo. Hanno fatto in modo che non si risvegliasse più. Perché doveva pagare quel maledetto autogol che ha spianato la strada agli Stati Uniti, eliminando di fatto la Colombia. Sì, Andres Escobar è morto per questo. Per un autogol”.
Speriamo non si debba scrivere mai che in Colombia si muore “per un rigore sbagliato”.
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