Per la Cassazione penale, infatti, con la sentenza 39037/18, pubblicata il 28 agosto dev’essere condannato penalmente l’esercente che tiene le confezioni di acqua minerale esposte in questo modo: la contravvenzione di cui all’art. 5, lett. b) L. n. 283 del 1962 che riguarda la detenzione per la vendita di prodotti destinati all’alimentazione in cattivo stato di conservazione è un reato di pericolo presunto con anticipazione della soglia di punibilità per la rilevanza del bene protetto, la salute, sicché il reato sì concretizza anche senza effettivo accertamento del danno al bene protetto.
A segnarlo, Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”che ribadisce come la decisione segni un punto in favore dei consumatori nella tutela della propria salute e un monito per tutti quei commercianti che continuano a perpetuare una prassi che non favorisce la conservazione corretta di un prodotto fondamentale per la vita come l’acqua.
A tal proposito, rileva la Suprema Corte che per la configurazione del reato a carico del negoziante, è sufficiente che le confezioni d’acqua siano conservate esposte alla luce del sole: basta il solo rischio che i contenitori di Pet possano alterarsi per reazione chimica all’esposizione ai raggi solari. Nella fattispecie, la terza sezione penale ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Messina nei confronti di un commerciante reo del reato di cui all’articolo 5 della legge 283/82, perché era stato appurato che le confezioni di acqua minerale erano accatastate alla rinfusa all’esterno di un deposito ed esposte alla luce del sole, in periodo estivo in pieno giorno in una zona notoriamente calda come la Sicilia.
Sulla scia di numerosi precedenti giurisprudenziali, con la decisione in commento, la Suprema Corte ha ricordato che «Il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione è configurabile quando si accerti che le concrete modalità della condotta siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione e di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato a tutela del c.d. ordine. alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. Sez. 3 n. 0772 del 5/ 5/2015, Torcetta, Rv. 269901)».
E per accertare il cattivo stato di conservazione non servono specifiche analisi di laboratorio, ma sono sufficienti dati obiettivi, come il verbale ispettivo, documentazione fotografie o la prova testimoniale. L’acqua, peraltro, deve essere assimilata ad altri liquidi alimentari come l’olio o il vino: è un prodotto vivo e subisce alterazioni quando è stipato in contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono con l’aria ed altre forme di energia.
Il divieto di esporre le bottiglie d’acqua alla luce e al calore del sole, in tal senso, era già previsto addirittura dal decreto ministeriale del 20 gennaio 1927, quando i contenitori in commercio erano solo di vetro.
Ciò vale tantopiù con le confezioni in Pet, «atteso che l’esposizione, anche parziale, di prodotti destinati al consumo umano alle condizioni atmosferiche esterne, tra cui l’impatto con i raggi solari può costituire potenziale pericolo per la salute dei consumatori, in quanto sono possibili fenomeni chimici di alterazione dei contenitori e di conseguenza del loro contenuto».
Voglio proprio vedere!
E le acque microfiltrate delle cosiddette “Case dell’acqua” autorizzate dai comuni per il profitto dei privati e che scadono in meno di 72 ore di tutte le loro proprietà organolettiche?