Web e diritto d’autore, le nuove regole europee (di Tony Ardito)

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Una tutela per giornalisti, autori ed editori; a questo obiettivo punta la riforma del diritto d’autore nel mercato unico digitale, approvata dal Parlamento Europeo il 12 settembre scorso.

Milioni di condivisioni di informazioni e di like. Sarà ancora possibile postare gli articoli dei giornali? Segnalarli, ad esempio, sui profili Facebook? Molto dipende da come verrà recepita la norma europea sul copyright nel nostro Paese. Di solito, gli articoli pubblicati provengono dagli stessi editori, mentre i lettori sono spesso privati e, dunque, non ottengono ricavi dalle condivisioni e non verrebbero toccati dal nuovo corso.

La stretta riguarderà soprattutto Facebook, Google e YouTube che ogni secondo rilanciano informazioni coperte da diritti d’autore, traendo profitto dalle visualizzazioni degli utenti. Ora dovranno sottoscrivere degli accordi con autori ed editori per utilizzare tale materiale.

Se le testate più affermate avranno maggior potere di negoziazione con i giganti del web, gli editori più piccoli temono di essere esclusi dai motori di ricerca. Nessun problema, invece, per Wikipedia in quanto gratuita e senza pubblicità.

Sono state altresì introdotte delle previsioni mirate a non ostacolare la libertà di espressione che caratterizza la rete Internet. In particolare, viene precisato che la semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (hyperlink) agli articoli, insieme a “parole individuali” come descrizione, rimarrà libera dai vincoli del copyright.

Nulla cambia per le startup e le piccole imprese digitali. C’è poi il problema della cancellazione di contenuti messi in rete dagli utenti; per individuare quelli coperti dal copyright, oppure offensivi si ricorrerà all’ausilio di specifici algoritmi. L’Europa chiede multe severe: fino al 4% del fatturato in caso di errori e ritardi nella rimozione di questi contenuti.

I giornalisti italiani sono sostanzialmente in linea con i colleghi delle Federazioni della Stampa europea e internazionale. Gli operatori del settore nostrani sarebbero, infatti, convinti che le Big Company del Web e i social network debbano pagare per i contenuti altrui che condividono attraverso le proprie pagine.

Per i vertici della FNSI, una nuova direttiva che imponga una tassa alle multinazionali high tech potrebbe rappresentare l’unica via possibile per difendere il diritto degli utenti a ricevere un’informazione di qualità. A loro parere vi sarebbe in gioco il rispetto della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e dell’articolo 21 della Costituzione italiana che garantiscono la libertà di informazione.

Viceversa c’è chi parla di censura, di filtri preventivi inammissibili in una rete globale in cui è sempre più stretto il confine tra tutela dei diritti e libertà di esprimersi.

Tony Ardito

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