Eravamo troppo piccoli per capire cosa fosse il “boom”, ma ne parlavano tutti, dappertutto, e dicevano che noi giovani eravamo fortunati perché avremmo avuto un futuro migliore.
Vedemmo partire molti amici, ma noi non ascoltammo i consigli. Non andammo al Nord e attraversammo anche il passaggio ferroviario. Perché eravamo, e siamo, del Sud. Nell’anima.
Oggi, a pensarci bene, non sappiamo se fu scelta opportuna quella di disobbedire al nonno.
Perché, nei tanti anni trascorsi da allora, il Nord è cresciuto agganciando e superando le economie “mitteleuropee”, mentre il Sud, per quanto migliorato, sconta un distacco intollerabile.
Non intendiamo, però, fare di questo l’oggetto della nostra riflessione. Lo fosse, potrebbe venirne fuori un libro.
Intendiamo solo offrire un modesto “contributo di idee”, frutto dell’esperienza maturata “lavorando al Sud”, per l’avvio auspicabile di una discussione concreta su cosa fare per superare un ritardo ormai spropositato che trova conferma, anno dopo anno, nelle inaccettabili “bassezze” degli indicatori economici e sociali.
E abbiamo pensato di iniziare dalla parte meridionale del nostro territorio, il Cilento, che appesantisce in modo significativo i valori statistici provinciali, per analizzare le possibili cause dei suoi non incoraggianti risultati e individuare i motivi del suo persistente stato di diffuso torpore.
E, sommessamente, anche per donare una speranza alle nuove generazioni.
C’è chi dice, ancora oggi, nel 2018, che il futuro di questa terra sia riposto nella sua fascia costiera e sollecita ulteriori investimenti in favore del turismo balneare per far crescere il già elevato numero di vacanzieri di “varia umanità” che ogni estate invade l’area per una manciata di giorni.
Noi riteniamo, invece, che il Cilento possa “crescere” solo a condizione che si riesca a far “crescere” l’intera Comunità con tutte le sue attività, perché il Cilento non è solo “spiaggia e mare” e perché il turismo balneare degli ultimi 30/40 anni ha solo affiancato, senza sostituire, le originarie occupazioni legate alle radici storiche e culturali dei residenti.
Ci spieghiamo, cominciando proprio da quest’ultima considerazione.
Esclusi i centri di Agropoli e Sapri e la cittadina intermedia di Castellabate, dove il turismo è parte di altre attività produttive e di servizi, in tutto il residuo territorio “a mare” l’accoglienza “si intervalla” con le occupazioni tradizionali costituite dalla pesca e dalle coltivazioni agricole, sia a livello professionale che di sussistenza.
In questa vasta area, la piena vitalità si realizza con l’apertura degli esercizi commerciali, intorno alla metà di giugno, e permane fino ai primi giorni di settembre quando, con la chiusura precipitosa degli stessi, cessa ogni attività legata al turismo, anche se gestita da non residenti.
Quasi a dire: la vacanza è finita, andate in pace. Abbiamo altro da fare.
E, nell’area, restano aperti solo i negozietti “bazar” dei nativi. Con intorno il silenzio.
In sostanza, il Cilento costiero “funziona” a tempo. C’è il tempo per i bagni di mare e ci sono i tempi per la cura degli orti, la raccolta dei fichi, delle olive e dell’uva.
E qui, tutti sono proprietari di almeno un orto. Chi non l’ha, da una mano agli altri.
La verità, però, non è solo questa. Molto dipende anche dalla composizione dei flussi turistici e dalla loro provenienza.
Perché si tratta, in massima parte, di nuclei familiari della regione, con qualche eccezione nazionale, la cui mobilità è comunque sottoposta ai vincoli degli impegni scolastici e di lavoro.
Così, tutti al mare a Luglio e Agosto e, poi, tutti via.
Quasi a dire: la vacanza è finita, andiamo in pace. Abbiamo altro da fare.
A chi converrebbe, in questa situazione, tenere aperti e attivi locali commerciali per qualche sparuto gruppo di passaggio, accantonando la cura dell’orto o la raccolta delle olive?
Fino a quando il Cilento costiero sarà considerato buono solo per i “bagni di mare estivi” resterà un territorio al quale nessuno chiederà di più e nel quale nessuno avrà la forza di offrire di più.
Ci appare evidente, da tutto ciò, che il risveglio economico non possa essere riposto nell’aumento della domanda balneare ma nella capacità di “scardinare” l’immagine, semplicistica e riduttiva, di territorio “mono-prodotto” puntando su attrattori di “diversa natura”, in grado di sollecitare una domanda di “diversa natura” e di “diversa provenienza”, nei periodi nei quali, oggi, prevalgono abbandono e sonnolenza.
Per questo, sarebbero necessari preliminari investimenti per ammodernare un sistema viario da anteguerra, riqualificare i centri abitati, i siti storici, religiosi, culturali, della tradizione e del folklore, affinché possano divenire veri concentratori di interesse in funzione del target prescelto di visitatori.
Ma questo non basterebbe.
Perché sarebbe anche necessario diffondere, soprattutto nel territorio interno, attività ricettive per flussi “volatili” con un idoneo standard qualitativo e adeguato livello di “professionalità”.
Una “rivoluzione” non facile, né veloce, seppure non impossibile. Ne parleremo in seguito.
Intanto, riteniamo di dover contestare le osservazioni di studiosi, sociologi, opinionisti, tuttologi e operatori economici, osservando che la soluzione da essi prospettata, di “più persone a mare”, ci sembra sia assolutamente inidonea e, anzi, possa divenire causa della definitiva distruzione della fascia costiera che sta già pagando un contributo pesantissimo per aver inseguito lo sviluppo puntando, senza alcun freno, sulla modalità più semplice ma anche più pericolosa. Quella della edilizia di rapina.
Lo vedremo la prossima settimana.
Chi lavora per il futuro di questa terra deve conoscerla nel profondo e immaginarne nuovi orizzonti non per interesse, ma per amore.
Anche il Cilento ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
(Mercoledì prossimo parleremo ancora del Cilento costiero)
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