Nel commento precedente, abbiamo manifestato i nostri dubbi sulla possibilità che lo sviluppo del territorio Cilentano possa essere assicurato da una ipotizzata azione di traino del turismo balneare della fascia costiera e da correlativi investimenti immobiliari.
E abbiano espresso la convinzione che il Cilento potrà allinearsi alle aree più evolute soltanto se riuscirà a porre in essere un programma per la crescita della intera Comunità fondato sullo sfruttamento di tutte le sue ricchezze – territorio, ambiente, storia, cultura, tradizione – da offrire con qualità e professionalità non esclusivamente all’interesse dei flussi turistici.
In più, noi pensiamo che la situazione di insopportabile ritardo di questa parte importante della nostra Provincia sia prova inconfutabile di quanto grande sia stato l’errore di puntare su una offerta “mono-prodotto”, circoscritta ai “bagni di mare”, che ha apportato vantaggi assolutamente localistici conseguenti allo sfruttamento edilizio del territorio costiero.
E ne spieghiamo i motivi.
Negli anni ’70, sotto la spinta di un crescente interesse esterno, giustificato dal degrado progressivo dei litorali regionali a nord (Caserta, Napoli, Salerno), la fascia costiera Cilentana divenne facile “terra di conquista” e fu depredata da un turismo di rapina al seguito di immobiliaristi pronti a cementificare le coste con costruzioni rozze e improbabili. Approfittando, peraltro, della genuinità e della ingenuità commerciale dei residenti.
Alcune isole felici si salvarono, ma non per molto. La voracità della speculazione non tardò ad aggredire le poche aree con maggiore qualificazione decretando la fine di flussi turistici “avanzati” e, con essi, il decadimento delle strutture ricettive realizzate con grande fatica. Sopravvissero solo le cambiali da pagare.
Il degrado di Palinuro, dopo la “cacciata dei francesi”, non necessita di spiegazioni.
In quegli anni, il desiderio di dare ai figli un diverso futuro, o anche solo quello di migliorare il proprio tenore di vita, spinse i residenti a “cedere” di fronte all’offerta dei classici trenta denari svendendo il territorio e favorendone lo scempio, ovunque possibile, e pure impossibile. Furono i tempi delle “seconde case” costruite come capanne.
La “febbre” non consentì di capire che gli immobili generavano reddito sterile. Offrivano liquidità immediata, ma non creavano occupazione duratura, non alimentavano opportunità diversificate, non favorivano le intelligenze. Facevano vivere. E basta.
Nacque, in questo modo, il turismo balneare, quello che, ancora oggi, si ritiene possa “tirare la volata” a tutto il Cilento, che, ancora oggi, si manifesta con flussi di “varia umanità”, pure con le “mappatelle”, e che, ancora oggi, si vuole incoraggiare con il sostegno di nuovi investimenti immobiliari nonostante l’evidente insuccesso di quanto fatto fino ad ora.
Per alcuni, nulla deve cambiare. E, quindi, ancora oggi, si continua a costruire dappertutto, anche lungo i pendii franosi e nei valloni dei fiumi.
Si costruiscono fabbricati e “case vacanze”, con “piano casa” e senza, nella convinzione, probabilmente condivisa dagli Amministratori, che tutta la Comunità possa trarre vantaggio da un intensivo sfruttamento edilizio del suolo perché fonte di “disponibilità” di danaro e, nei circa 50 giorni estivi, di “fitti” e di ulteriori introiti “di varia natura”.
Trascurando, all’opposto, che nuove costruzioni accrescono l’offerta e che i conseguenti comportamenti concorrenziali possono essere causa, oggi, del deprezzamento dei valori e saranno causa, domani, del degrado del territorio per l’insostenibile pressione di “flussi turistici vandalici” concentrati in una manciata di giorni.
Perse le spiagge e il mare, il Cilento costiero avrà perso tutto.
Non invidieremo gli eventuali responsabili, se chiamati a risponderne a figli e nipoti.
Intanto, da tempo, va via la gioventù più volenterosa, destinata a divenire “turista di ritorno” nei periodi di ferie, mentre quella meno volenterosa trascina la propria esistenza nel corso delle “stagioni morte” in attesa del “quarto d’ora” di vita estivo e dell’incasso delle rendite immobiliari sufficienti a vivere. Senza entusiasmi.
Così, d’inverno, i centri della fascia costiera sono paragonabili ad “aree fantasma” con interi quartieri chiusi, disabitati, illuminati quel tanto che basta e attraversati dalle ombre dei pochi residenti. Inevitabilmente anziani.
Questa è l’immagine, oggi, del Cilento costiero. Area, comunque, “fortunata”.
E’ mai possibile pensare che possa fungere da traino per tutto il restante territorio? E’ una domanda che non necessita di risposta.
Noi siamo convinti che la soluzione sia un’altra.
Il Cilento dispone di “vere ricchezze” che, se opportunamente utilizzate come punti di forza di una differente modalità di “fare sviluppo”, possono offrire opportunità di riscatto per i residenti e, soprattutto, nuove possibilità di occupazione per le giovani generazioni.
A condizione, però, che i progetti siano rispettosi della natura dei Cilentani, della loro visione della vita, delle loro abitudini e tradizioni, del loro carattere “forte e duro”, come forte e duro è l’ambiente che li accoglie e che ha assistito a secoli di sacrifici per rendere produttivi e abitabili ambienti anche ostili, brulli, aridi, sabbiosi, sassosi e scoscesi.
Non dimenticando che, per quanto siano semplici, schietti e genuini, essi vivono uno stretto rapporto con la “proprietà” (la “roba” dei Malavoglia), modesta o consistente che sia, e che hanno maturato, dopo le delusioni patite all’inizio, un atteggiamento accorto e prudente, forse diffidente, forse un poco chiuso, con comportamenti personalissimi e contrapposizioni localistiche incredibili e, a chi è estraneo, persino incomprensibili.
Per disegnare il “nuovo Cilento” è necessario conoscere il “vecchio Cilento”. Ne parleremo nei prossimi commenti.
Solo così si potrà dare vita ad una progettazione in grado di offrire ciò di cui i Cilentani hanno necessità. Non quello che conviene a chi propone per proprio interesse.
Anche il Cilento ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
(Mercoledì prossimo parleremo del Cilento interno)
Il punto è che anche “il turismo di rapina” serve a portare qualche soldino in aree profondamente depresse. E’ paradossale, ma attualmente nemmeno i treni sono attrezzati per questo: se tu vuoi andare dalla fascia costiera vesuviana verso il Cilento (ma anche viceversa) troverai treni non esattamente impeccabili, lenti, che per qualche motivo misterioso (quanto insensato per l’utente) nella maggior parte dei casi necessitano di un cambio a Salerno. Questo equivale a meno ricchezza per tutti, anche perché oggi come oggi non ti metti in macchina la domenica e ti fai Sapri-Pompei e vicevesa.