Poi, sistemata la grande scala a triangolo, saliva in mezzo ai rami e assestava colpi decisi con una piccola roncola tagliando frasche e fogliame.
“La potatura serve a educare la pianta e avere più frutti”, ci diceva. “Si debbono togliere tutti i rami che assorbono senza vantaggio, i “sorchioni” (succhioni), sfrondare quelli pesanti e, infine, liberare il centro per dare luce e ossigeno. Per rinnovare l’albero, sole e aria debbono circolare in mezzo”.
Già. La illuminazione e la respirazione sono alla base della vita. Anche della nostra.
E, a ben pensare, finanche della Città.
La “potatura periodica” di una Città la educa, la guida verso la crescita, contrasta gli accumuli pericolosi, elimina gli eccessi, fa entrare sole e aria in ogni suo angolo, migliora la qualità della vita.
L’attuale procedura di revisione decennale del PUC ci sembra l’occasione giusta per fare questo
Ma non solo questo. Perché noi riteniamo che, oltre a riorganizzare i luoghi, il PUC debba anche “trasformarne” il destino diffondendo una rinnovata vitalità tra i residenti e creando quella stretta relazione emotiva di appartenenza in grado di convertire un aggregato di persone in una vera comunità di anime.
Il PUC non può limitarsi a intervenire “sul corpo” della Città, ne deve “rinnovare” l’anima.
Tutto questo, attraverso linee di indirizzo da predisporre in funzione delle caratteristiche dei luoghi, delle mutazioni socio-economiche e delle risorse ambientali e culturali a disposizione perché, tutte insieme, possano contribuire alla rigenerazione della Comunità.
In tal senso, ci ha sorpreso rilevare che, nel documento di revisione 2018, nulla è stato previsto a supporto dell’area archeologica di Fratte alla quale, nonostante la ridotta estensione e lo stato dimesso, è riservata una grande attenzione da parte degli studiosi per essere, con la vicina Pontecagnano, uno dei più importanti siti etruschi del territorio.
Non a caso, il Museo Archeologico di Pontecagnano, inserito nel circuito del Polo Museale della Campania gestito dal Mibac, sta acquisendo un consenso crescente.
E, da noi, un Museo Etrusco non c’è. E, purtroppo, sembra non ci sia neppure l’interesse per l’area archeologica (s.e.) visto che di essa, sia nella relazione, sia nelle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), non abbiamo trovato menzione laddove, all’opposto, molte disposizioni sono state impartite per la fascia costiera in funzione di un suo più efficace utilizzo ai fini turistici.
Così, ci viene da chiedere perché mai la nostra Città stia trascurando una risorsa storica che potrebbe favorire la rinascita di un quartiere divenuto, oggi, una “rotatoria” per lo smistamento del traffico, una semplice “espressione geografica” e la peggiore testimonianza di degrado urbano, economico e sociale.
Eppure, Fratte non è stata esclusa dalle previsioni del nuovo PUC visto che i terreni all’altezza delle Fonderie, con luoghi limitrofi, sono stati classificati quali Aree di Trasformazione Residenziale (AT-R 1 e 2), oltre alla destinazione produttiva già assegnata ai suoli ex MCM (P1) e a qualche tratto a verde.
Quindi, nuove costruzioni per nuovi appartamenti, anche a ridosso dell’autostrada.
Va bene. Ma per far vivere chi e per far fare cosa?
Noi pensiamo che ulteriori insediamenti possano solo accentuare la funzione di Fratte quale “quartiere-dormitorio”, distruggere il valore immobiliare dei piccoli proprietari e abbassare ulteriormente il livello della qualità della vita a causa del negativo contributo arrecato dal nuovo carico abitativo.
Fratte è già un quartiere in grandi difficoltà, anche procurate dall’aggressione subita per mano di chi, tanti anni fa, decise di convogliare nell’area tutti i possibili passaggi veicolari facendo realizzare viadotti che si incuneano tra i palazzi e distribuiscono veleni e inquinamento a danno di tutti i residenti.
Le emissioni non sono solo delle Fonderie. Pensiamo alle tante domeniche infernali in autostrada.
Per questo, noi riteniamo che il nuovo PUC avrebbe dovuto prevedere più mirate classificazioni delle aree con l’obiettivo di “snellire” e “semplificare” l’accumulo urbano, ampliando verde e parcheggi per far “riprendere aria e sole”, “ridisegnare” la mobilità locale, valorizzare i siti di archeologia industriale in funzione di spazi pubblici (pensiamo alla “Leopolda”), e, poi, dare il necessario risalto all’area etrusca.
In sintesi, un quartiere del tutto nuovo, per immagine, identità e funzione economica, organizzato secondo logiche di rispetto per il territorio, di attenzione per l’ambiente, di valorizzazione, di benessere per i residenti.
Certo, il PUC è documento di indirizzo superiore, non di dettaglio. Certo, nella zona omogenea B, nella quale Fratte è inserita (s.e.), sono consentite attività del terziario, produttive e per il turismo funzionali alla creazione di “diversità” insediative.
E’ ben noto, però, che nessuna di tali opzioni potrà risultare vantaggiosa per l’investitore privato in assenza di un “pacchetto” di azioni di competenza pubblica che fosse in grado di incidere veramente sullo spirito del quartiere.
Per avere questo, il PUC dovrebbe già contenere le premesse per il cambiamento.
Cosa vogliamo dire? Ci esprimiamo in forma sintetica (*).
Noi pensiamo che alla piazzetta dovrebbe essere restituita la originaria funzione di centro della vita locale inserendola in un’area pedonale arredata, illuminata e piantumata a tema, a partire dal “ponte storico” e fino agli scavi archeologici, da una parte, e alla Chiesa della Sacra Famiglia, defilata e di difficile accesso, dall’altra, con attività commerciali, ristoranti e piano-bar, punti di aggregazione e socializzazione, angoli letterari e artistici, un “pianoforte di piazza”, giochi di acqua, spazi dedicati ai più piccini, alle famiglie e agli anziani. Un angolo di grande qualità urbana e umana.
Il trasferimento del traffico ai margini dell’abitato consentirebbe una nuova scorrevolezza per tutte le direttrici, nord-sud ed est-ovest. Niente più veleni e “fiumi di fumi”, cioè diossina e polveri sottili, diffusi con ampia libertà in pieno centro. In verità, il grafico “mobilità” del PUC prevede un possibile anello tra tangenziale e rioni collinari ma, per come è immaginato, forse ne vedranno la fine i nostri nipoti.
L’area dei prefabbricati, ora destinata a sede di un Centro Sociale (sempreché nel corso dei lavori non dovessero emergere reperti archeologici), della cui efficacia ci permettiamo dubitare, potrebbe divenire area a servizio dei nuovi flussi viari con spazi verdi e parcheggi a favore degli scavi archeologici vicini.
Ogni attività culturale e sociale potrebbe trovare spazi sufficienti negli edifici di archeologia industriale ove insediare, magari, il nuovo Museo Etrusco quale concreto riferimento culturale per rinnovati flussi di visitatori.
Perché gli Etruschi, qui, ci sono stati per davvero. E, se potessero, qui sarebbero felici di avere una casa.
Fratte ha necessità di ritornare ad essere una Comunità, con più dignità, più vivibilità e vitalità economica, più opportunità di crescita verso un futuro rispettoso della salute, dell’ambiente e della storia.
Un progetto per fare di Fratte il primo “Quartiere Verde” è possibile, così come è possibile realizzare in piazzetta il primo “Centro Commerciale Naturale” della Città.
E, tra le tante residenze previste, è possibile anche dare ospitalità ai nostri antenati Etruschi.
Non sono necessarie somme ingenti. Basta la volontà di chi ricopre ruoli di responsabilità e un PUC a misura di cittadino.
Vivere a Fratte non può equivalere a morire.
Fratte ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
(*) per chi desiderasse approfondire, rinviamo ai nostri commenti del 10/05/2017(Fratte primo quartiere verde) e 10-17/01/2018 (vivere a Fratte equivale a morire?) sulla pg. Fb.
Veramente una bella idea quella di valorizzare adeguatamente il quartiere di Fratte ispirandosi essenzialmente alla storia e a quelli che secoli fa calpestarono quei suoli, gli Etruschi, di cui rimangono e ancora vengono alla luce resti e testimonianze della loro presenza.
Quindi creare in zona un “quartiere verde”, allestire un Museo per l’esposizione dei reperti archeologici rinvenuti, “dare ospitalità ai nostri antichi antenati Etruschi” sarebbe una iniziativa veramente encomiabile. Temo però che essa vola troppo in alto per essere compresa e fatta propria da chi di dovere.
Altrettanto illusoria mi sembra l’aspirazione – che vorrei esporre – a promuovere una azione di “potatura periodica” della città per liberare un altro sito storico, altrettanto importante, da una serie di edifici che nel tempo ne hanno soffocata la visibilità. Mi riferisco all’Acquedotto medioevale, che sormonta via Velia ed è conosciuto come il Ponte del diavolo, ma che si estende ben oltre con più rami sconosciuti ai più perché coperti da palazzi costruiti proprio a ridosso. Basta vedere alcune foto del secolo scorso e anche prima per accorgersi di come doveva essere conservato nella sua residua integrità questo monumento, altra importante testimonianza di coloro che vissero in questi luoghi.
Ovviamente è una ipotesi del terzo tipo e quindi irrealizzabile.
Ma quanto meno dovrebbe servire a far riflettere che certi scempi, prima di commetterli, andrebbero vagliati attentamente e poi evitati.