“Non riuscite a rendere quello che vedete perché non vi impegnate. Il disegno non è solo una figura da ricopiare. Ci dovete mettere la vostra sensibilità”.
Passato qualche anno, capimmo che suor Angelica, la maestra, non si sbagliava.
Un disegno, un impegno, o qualsiasi altro atto della vita, deve essere portato a termine mettendoci sempre “l’anima”. Perché tutto ciò che facciamo merita di essere fatto al meglio di noi stessi. E’ l’unica possibilità che abbiamo di dare una immagine veritiera della nostra identità e della nostra natura. E anche della nostra cultura. Non quella universitaria, neppure per chi ce l’ha, ma quella acquisita con le esperienze di tutti i giorni.
E se la nostra funzione è anche quella di essere di aiuto agli altri, di sostegno, di protezione, addirittura di guida, non possiamo mancare di utilizzare al massimo tutte le nostre capacità perché si diffonda la forza dell’esempio e si sviluppi il desiderio della emulazione. La vita è migliore per tutti, se c’è l’impegno di tutti a migliorare la vita.
Ancor più ci appare valido il principio, laddove si eserciti una qualche responsabilità di governo.
Perché l’onore di rappresentare la volontà dei deleganti non può essere disgiunto dall’onere di operare al meglio per assicurare la soddisfazione dei loro bisogni nel modo più ampio e più giusto. Non è sufficiente, perciò, che ogni decisione risponda alle migliori pratiche amministrative e tecniche, ma è necessario che sia anche massimamente improntata ai principi di comprensione, vicinanza, umanità, nei confronti di tutti e, in particolare, dei più deboli, indifesi, sfortunati, infelici.
E non basta ancora.
Perché è indispensabile che assicuri, sempre e comunque, il godimento integrale ed equilibrato dello “zoccolo minimo di ricchezza comune” messo a disposizione da un Dio, qualunque Dio, e che ognuno trova nel venire al mondo al di là dei mezzi privati di cui può disporre per diritto dinastico o per i fatti della vita.
Compete agli Amministratori, cioè, la difesa della “culla” della Comunità, vale a dire del territorio e, per esso, di acqua, aria, monti, mare, sole, cielo, prati, fiumi, laghi, perché sia utilizzato, ovvero anche modificato, nel rispetto del “diritto di partecipazione” che spetta a chi condivide i luoghi di una stessa esistenza.
In questi giorni è scaduto il periodo a disposizione della collettività per la presentazione di osservazioni sulla proposta di revisione del PUC 2018.
Nelle scorse settimane, a partire da Mercoledì 23/01 scorso, abbiamo espresso le nostre idee e le nostre valutazioni su alcune specifiche previsioni. Nell’ultima riflessione del 27/02, abbiamo anche manifestato il nostro pensiero sulla necessità di promuovere, su tale importante argomento, una consultazione popolare con l’utilizzo dello strumento referendario. Ma sappiamo bene che si è trattato di formulare un “pio desiderio” perché, da oltre venti anni, gli istituti di democrazia, diretta e partecipata, sono rimasti privi di regolamentazione.
In vista della scadenza del termine di garanzia, avremmo ben potuto “assemblare” e “rilegare” le nostre proposte depositandole per una auspicata lettura e/o valutazione.
All’opposto, abbiamo preferito lasciare ad esse una esclusiva funzione di “informazione pubblica” in favore di una platea di lettori che ci piace pensare sia stata sufficientemente ampia.
Tutto ciò, non per il timore di essere in errore e neppure per sfiducia sull’esito del successivo esame da parte degli Amministratori, ma semplicemente perché la revisione “immaginata e proposta” non può, per noi, essere convenientemente “rettificata”. Del resto, un sarto non può tentare di sistemare le spalle di un cappotto, allargando o restringendone l’ampiezza, se il “difetto” è nel taglio della stoffa o, peggio, se ha sbagliato a “prendere le misure”. Non si adatta una taglia 52 ad un cliente che arriva a stento alla 48.
In tal senso, la impostazione del PUC ci offre l’immagine di una Città larga, goffa e sgraziata, come larga, goffa e sgraziata è quella di chi indossa due taglie oltre la propria.
Per noi, il “sarto” che ha immaginato il nuovo PUC ha “preso male le misure”, a partire dalla rilevazione anagrafica dei residenti. Lo abbiamo commentato nella riflessione del 23/01.
E ha “proseguito male” nel modellare i singoli pezzi (“Aree di Trasformazione”), ritenendo che fossero intercambiabili (“si può fare tutto dappertutto”), per arrivare alle cuciture finali che lasciano bordi, ove stretti ove ampi, con evidenti sbuffi e strasbuffi (disequilibri nella mobilità e nelle “aree a Standard”).
Solo che qui non si tratta di un cappotto. Qui, parliamo della “casa di tutti” e della qualità che riesce ad assicurare alla vita di ogni cittadino.
Noi riteniamo che un luogo destinato ad accogliere una Comunità si debba realizzare secondo le regole del “bene comune”, anteponendo gli interessi collettivi ed escludendo l’ipotesi che ogni trasformazione possa considerarsi possibile solo per giustificare scelte diversamente orientate.
Il PUC, cioè, deve essere finalizzato a regolare il processo territoriale di trasformazione urbana per realizzare esclusivamente apprezzabili condizioni di vita, per migliorare la qualità della Città, la sua bellezza, la sua identità e la sua immagine.
E’ evidente che tutto ciò può avvenire solo in presenza di un progetto coordinato, basato su una “idea comune estesa a tutto il territorio urbano”, volto, da una parte, a contrastare le patologie della crescita avvenuta in assenza di regole e, quindi, ad esempio, la diffusione insediativa, la inefficienza della mobilità, la carenza di spazi pubblici, e, dall’altra, a realizzare “convogliatori” in grado di mettere in relazione le aree di più alto valore ambientale per farle concorrere alla rigenerazione delle risorse naturali esistenti.
Il tutto, adeguando ogni scelta ai mezzi disponibili o reperibili perché il processo sia concreto, convincente ed efficace e possa veramente consentire la costruzione di una “città pubblica” con infrastrutture e servizi per tutti.
Per fare questo ci vogliono certamente i goniometri, i righelli, gli elaboratori, i plotter, ma soprattutto ci vuole una visione della società e della vita improntata al rispetto degli equilibri sociali, della distribuzione delle opportunità e della condivisione delle ricchezze territoriali.
Non ci sembra che nella revisione del PUC ci sia tutto questo. E, forse, è per questa mancanza che il documento appare largo, goffo e sgraziato come una taglia 52 per un fisico 48.
Noi riteniamo debba essere riscritto, non semplicemente rivisto, secondo una impostazione che sia frutto di una diversa visione del “bene comune”: quella che può essere dettata solo dall’amore.
Anche noi, da piccoli, ci sforzavamo di disegnare i fiori mettendoci un poco di amore. E alla fine, a Suor Angelica, piacevano pure.
Questa Città ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
Bla bla bla.
Non si capisce perché non essendo d’accordo con l’impostazione del PUC non si producano osservazioni scritte.
Produrre osservazioni non uccide nessuno.
Mi sa tanto di “……… CHIACCHERE e DISTINTIVO……..”
Boh
troppo tardi lo sfascio del puc e’ sotto gli occhi di tutti . hanno cementificato possibile ed impossibile senza alcun ostacolo con un sordido accordo maggioranza opposizione: un poco a te e tanto a me . una vergogna che ha un nome e cognome nel megalomane pseudogovernatore vincenzo la cazzuola . il nuovo pd si liberi presto di questo impresentabile personaggio se vuole sperare di recuperare il suo elettorato.