Il pasticcio libico (di Cosimo Risi)

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La Libia è un tormentone da cui non riusciamo a liberarci. Khalifa Belqasim Haftar ha avviato un’operazione di bonifica dal terrorismo partendo dalla Cirenaica per arrivare alla Tripolitania. Che nell’opera, asetticamente meritoria, finiscano il controllo dell’altra regione e lo spodestamento del Governo Serraj vanno considerati effetti collaterali.

In questi benevoli termini si esprime il nostro Presidente del Consiglio intervistato a Pechino sulla Via della seta.

Fino a poco tempo fa l’Italia era schierata con il  Governo Serraj, legittimato dal timbro ONU che per noi è garanzia di purezza, ora invece non ci schieriamo con Serraj né con Haftar ma col popolo libico.

Non si comprende come riusciamo a sondare gli umori del popolo libico, considerato che là non funzionano la Piattaforma Rousseau né altre forme di democrazia diretta. Difficile è persino qualificare di libico un popolo visibilmente diviso lungo faglie regionali, etniche, tribali. Esiste un popolo libico? E nell’ipotesi è disposto ad un governo unitario o confederale o federale?

A queste domande necessarie ad  una strategia cosciente non diamo risposte, quanto meno pubbliche. Se le risposte stanno in qualche archivio di palazzo, non è dato sapere. La stampa è troppo intenta ad interrogare il Presidente del Consiglio sulle vicende del Sottosegretario sospettato per occuparsi di  banalità come l’approvvigionamento di idrocarburi e l’ammassarsi di profughi aventi la sola aspirazione di attraversare il mare fino alle nostre coste.

La buona stagione favorirà le traversate e non basteranno le circolari a bloccare gli arrivi. A meno di non introdurre anche in mare certe norme del decreto sicurezza che rendono “sempre” legittima la difesa dall’aggressione.

L’avanzata di Haftar verso Tripoli conosce ostacoli. La sua armata è modesta. La resistenza della congerie di milizie alleate a Serraj fa il resto. Il conflitto in Libia è in fase di stallo.  Il che autorizza a sperare che la sola via d’uscita sia la diplomazia.

La diplomazia implica alleanze internazionali, non avendo il nostro paese da solo la capacità di intervenire e neppure di mediare. Certo, può invitare i contendenti alla riedizione di Palermo, dove Haftar e Serraj si strinsero le mani coperte da quelle di Conte. Se non bastò Palermo 1 a calmare le acque, è arduo pensare alla pedissequa replica.

Cerchiamo allora altre sponde. Anzitutto quella americana. Gli Stati Uniti sono riluttanti ad impegnarsi in Libia dopo il caso Bengasi. A Bengasi, si ricorderà, il loro Ambasciatore finì malissimo e trascinò nella sciagura le ambizioni politiche di Hillary Clinton.

Di Christopher Stevens ho un ricordo lieto. A Piazza Augusto Imperatore, Roma, consumammo un pasto a base di pizza e altri sfizi meridionali mentre era in transito dagli Stati Uniti alla Libia.

Era un diplomatico maturo, esperto di affari mediorientali, animato di speranze per la missione che stava per intraprendere, poco propenso a credere a rischi imminenti. Il classico ottimismo della volontà che si scontrò col pessimismo dei suoi attentatori. Da allora gli Americani tengono un profilo basso in Libia, difficile spingerli a maggiore impegno.

L’altro partner è l’Egitto. Il nostro Capo del Governo incontra il Presidente Al – Sisi a margine del Forum G 7 in Cina. Cairo ha un ruolo chiave in tutte le vicende arabe e specie in quella libica, dove agisce da Lord Protector di Haftar. Avrebbe dunque, a volerla esercitare, un’influenza calmante sul Maresciallo – Generale.

Ha una pecca ai nostri occhi che la Famiglia Regeni non manca di rammentare via stampa: la reticenza sulla fine di Giulio. Il caso ci angoscia da anni e non ne veniamo a capo se non con il continuo oscillare fra dichiarazioni forti e pratiche di convenienza.

Il nostro interscambio con l’Egitto cresce, il nostro bisogno di Egitto cresce in pari misura. Eppure continuiamo a domandarci se le esigenze della diplomazia possano convivere con quelle della giustizia. Ovvero se a prevalere in politica estera sia l’interesse pubblico o l’esigenza di chiarezza.

Cosimo Risi

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