A Bologna le individuano la malattia ma è al Ruggi che viene salvata

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«Voglio sfatare il mito di una sanità che funziona al nord ma non al sud».

A parlare così Mirella Memoli, attivista di Movimento Disabili articolo 14 (organizzazione guidata, a livello nazionale, dal salernitano Giovanni Cafaro), affetta una rara malattia che, nel tempo, l’ha costretta a vivere su una sedia a rotelle. Lo scrive Le Cronache

«Io vivevo a Bologna ma lì non mi hanno mai curato pur avendo individuato la mia malattia ma dopo la diagnosi nulla», ha spiegato Mirella che racconta il periodo infernale della sua vita, fatto di dolori costanti e febbre alta che l’hanno accompagnata per quasi due anni. «Così inizia il mio pellegrinaggio in giro per il nord Italia per tentare di capire cosa mi stesse succedendo».

Mirella è giunta all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona dopo aver deciso di far ritorno, insieme alla sua famiglia, nella sua città natale: «Io sono di Salerno e l’anno scorso sono giunta in città per festeggiare la Pasqua insieme alla mia famiglia. Dopo aver cercato soluzioni a Firenze, a Pisa, a Padova, mi sono detta “perché non provare anche a Salerno”».

Solo nella città capoluogo Mirella riesce a trovare un po’ di sollievo, il suo calva rio inizia a prendere una nuova strada, si intravede finalmente la luce in fondo al tunnel. Proprio a lei era stata paventata l’ipotesi di cure troppo costose, al nord, a Salerno può curarsi come deve, senza alcun aggravio economico.

Al San Leonardo, in neurologia l’hanno salvata e ora lei continua a curarsi nella sua città natale. «La differenza, per me, è fondamentale. Oggi si parla tanto di una sanità che funziona ma per quello che mi riguarda, dopo 25 anni, non è assolutamente così perché io ho avuto due anni di febbre altissima, quasi costante, e non sono mai riusciti a farmi il prelievo. Questo è solo un esempio banale ma la dice lunga.

Io a Bologna dovevo fare una prenotazione per una visita a domicilio e dovevo recarmi in un centro specifico, abbastanza lontano, mentre i normodotati potevano tranquillamente prenotare in farmacia». Lei attualmente presso quale reparto è in cura? «Io sono in cura presso il reparto reumatologo con il dottor Moscato. E’ un reparto che funziona benissimo che si occupa di tante persone. Andrebbe potenziato perché i medici lavorano molto per curare al meglio per curare le persone.

Il reparto, tempo fa, aveva solo una stanza e delle poltroncine oggi è cambiato: in un solo anno ha fatto enormi passi avanti. Penso che andrebbe potenziato sia da un punto di vista strutturale che di personale medico perché oggi c’è sempre più richiesta e loro fanno i salti mortali per fronteggiare tutte le richieste di persone che necessitano di essere curate, seguite con delle terapie apposite come nel mio caso. Loro fanno l’impossibile, sono bravissimi».

Crede che oggi il Ruggi sia un ospedale accessibile ai disabili? «Allora, gli ascensori non sempre funzionano; parecchie volte sono rimasta bloccata dentro ma anche a Bologna ho trovato le stesse difficoltà». Così, sfatiamo il mito della sanità che funziona al nord ma non al sud… «Assolutamente si. Penso che le persone si lascino abbindolare da un’immagine che non corrisponde alla realtà. E’ fondamentale avere una struttura che funzioni, a partire proprio dal pronto soccorso».

Al Ruggi di Salerno, ora Mirella può tranquillamente curarsi, senza problemi e soprattutto senza aggravi economici. Il pensiero della salernitana non riguarda solo il reparto che si occupa della sua patologia ma di tutto il nosocomio: «Abbiamo dottori eccezionali ma spesso ne parliamo sempre e solo male. E’ come se per la gente fosse più facile lamentarsi che elogiare.

Forse, al sud abbiamo questa caratteristica di piangerci un po’ addosso, di lamentarci senza trovare soluzioni», ha aggiunto la donna secondo cui, ad oggi, tra le difficoltà riscontrate c’è sicuramente la dislocazione dei vari reparti, spesso troppo lontani ma, sottolinea, «questa è una scelta dei manager».

Fonte Le Cronache in edicola domenica 28 luglio 2019 

9 Commenti

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  • Per dieci anni ho fatto ecografie a Salerno e mi rinviavano perché nn c’era tempo per un banale intervento di 10 min , a Bologna in 15 gg intervento biopsia e cure perché era un linfoma .

  • Una miracolata… Mio padre è morto dopo 7 mesi di agonia perchè al San Leonardo non hanno mai capito cosa avesse. A neurologia gli hanno dato la botta finale.

  • Sono contentissimo che Mirella abbia trovato riscontri veri per migliorare la sua salute qui a Salerno, questo è solo e soltanto un fatto positivo e importantissimo.
    Sono anche convinto che la differenza non la fa tanto la qualità dei medici intesa come preparazione quando usciti dagli studi, sopra migliore e qua scadente. Sono convinto tale differenza la faccia l’ambiente.

    Un ambiente degradato, sciatto, a cominciare dalla pulizia passando per la eventuale scarsa voglia di lavorare di chi deve assistere i malati nei reparti, poi di chi deve curarli, sono un punto di partenza negativo in qualsiasi latitudine del mondo (del resto “fenomeni” tristissimi di medici che operavano pazienti anche anziani senza alcuna reale necessità se non quella dei loro conti in banca ci sono stati, ed eclatanti al nord! Assurdo. Ma non mi fate beccare querele in merito, mi fermo qui.)

    Purtroppo ho qualche esperienza e posso dire che il contorno, il contesto, è molto differente tra nord e sud: il senso del dovere, l’etica, da noi scarseggiano di più. Mediamente le nostre strutture lasciano punti sul campo, talvolta parecchi, rispetto a quelle del nord. E la ragione, sempre secondo me, per carità , è di come siamo fatti come mentalità, come popolo.
    Qui da noi vige la cultura della furbizia, dello scansarsi la fatica (anziché ringraziare la Madonna che ce l’abbiamo) in ogni campo: e non capiamo che così facendo siamo furbi quando siamo incudine, ma siamo fessi quando siamo martello, perché della stessa (sub) cultura saranno intrisi i nostri simili quando toccherà a noi rivolgerci alle strutture dove questi lavorano e noi ce lo prenderemo… in quel posto, laddove credevamo di averlo messo quando era il turno nostro di faticare, e invece ce la siamo scansata ( o canziata, che fa più “simpatico”).

    Certo, non è una regola, per fortuna. Ma è il nostro trend, purtroppo.

  • Ho invertito incudine e martello (scusate, colpa del caldo). Ma insomma, spero si capisca e se no, pazienza.

  • chi rivolge accuse gravi e pericolose con frasi come “hanno ucciso”, “hanno fatto morire” a reparti e medici possono rivolgersi alla magistratura se ritengono. Ovviamente se le accuse si rivelassero infondate e temerarie dovrebbero pagare caramente con moneta e galera quanto non dimostrato.
    E i nostri cari concittadini cominciassero a rispettare l’ospedale comportandosi civilmente, senza aggredire, fumare, rispettando le regole di ingresso e permanenza in visita, e senza scaricare sull’ospedale l’assistenza agli anziani quando devono andare in vacanza.

  • x11:51

    Ma no, perché? e’ cosi tanto più facile sputare merda nell’anonimato.

    Poi tutti insieme allegramente a fare i cafoni dove capita.

  • Denunciate altrimenti zittite con tutto il rispetto di chi ha lasciato la vita.

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