Il potere ai tempi del coronavirus (di Angelo Giubileo)

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Quando questa tragica storia del Covid-19 sarà finita, avremo senz’altro modo di riparlarne. Il punto politico fondamentale, interessato appieno da questa emergenza sanitaria, la più grave esperienza vissuta dal dopoguerra – credo anche maggiore rispetto a quella del terrorismo, ma ero troppo giovane per poterlo affermare -, riguarda la forma e le modalità di gestione del potere in situazioni di emergenza, come questa, dichiarata con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio scorso (GU Serie Generale n. 26 del 01/02/2020).

In questi cinquanta giorni, ormai, con l’avanzare del contagio e il numero crescente di deceduti, sindaci e governatori di regione hanno assunto provvedimenti normativi sempre più restrittivi e talvolta perfino in contrasto con quelli emanati dal governo e dal premier. Provvedimenti ritenuti dai medesimi sindaci e governatori “necessari”, in virtù, direi, di uno “stato di eccezione” presente sui corrispettivi territori di governo.

Ciò che configura un’anomala gestione del potere politico in cui, sintetizzava Carl Schmitt, “sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”. Ciò che, per l’appunto, sta accadendo e accade ora in Italia. Dalle cronache quotidiane di questi giorni, emergono “vincenti” le figure soprattutto di governatori – in particolare della Campania, della Lombardia, del Veneto, ma sporadicamente anche altri – e di sindaci che, metaforicamente, invocano e dichiarano lo “stato di guerra” al nemico silenzioso, che è il virus. E così adottano le misure ritenute necessarie, come “chiudere tutto” e far “rimanere aperte solo le fabbriche belliche” ovvero, in questo caso, le attività strettamente inerenti all’emergenza sanitaria o che si convertono allo scopo.

L’odierno governo nazionale, appellato come “il governo più a sinistra della storia”, è costretto oggi a vivere, politicamente, una delle cicliche nemesi o vendette della storia. Sono passati vent’anni dall’inizio della riforma del titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001) – che ha attribuito alle autonomie locali il riconoscimento (ex art. 5 della Costituzione) di enti giuridici preesistenti alla formazione della Repubblica -, riforma cardine di un intero processo di autonomia voluto e sostenuto dalle sinistre, avviato negli anni Settanta del secolo scorso e ora, nell’emergenza che viviamo, assurto definitivamente a modello della crisi del sistema politico inaugurato alla fine della Seconda Repubblica.

In una situazione di emergenza come questa, sarebbe stato e sarebbe sempre più auspicabile il governo e il concorso da parte di tutti. Se così non è, è giocoforza che ognuno faccia leva sul corrispettivo ambito o spazio di sopravvivenza.

Angelo Giubileo

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