È quanto emerge da una ricerca che la Direzione centrale Studi e Ricerche dell’Inps e la Struttura Lavoro e Professioni di Inapp hanno congiuntamente condotto allo scopo di evidenziare le differenze individuali e strutturali fra l’insieme dei lavoratori che sono impiegati nei settori essenziali e quelli che operano nei settori ancora bloccati.
In questi ultimi è cresciuta, rispetto ai lavori bloccati il 22 marzo, l’incidenza dei segmenti fragili presenti nel mercato del lavoro, come le donne (che sono il 56% del totale dei lavoratori bloccati dal 4 maggio), i lavoratori temporanei (48%), i lavoratori part time (56%), i giovani (44%), gli stranieri (20%), i lavoratori impiegati presso piccole imprese (46%).
Si tratta di lavoratori che hanno livelli medi dei salari annui e settimanali decisamente inferiori rispetto ai lavoratori dei settori considerati essenziali. Il salario medio annuo in questi ultimi è del 127% più elevato rispetto a quello dei settori bloccati. Se si considera il salario medio settimanale il differenziale è del 43%. La forte differenza fra il salario totale annuo e il salario settimanale è spiegata da una instabilità lavorativa decisamente superiore nei settori bloccati, dove il numero medio di settimane lavorate nell’anno è pari a 19 contro le 31 nei settori essenziali.
I settori economici che contribuiscono maggiormente ai differenziali evidenziati sono ‘Alloggio e Ristorazione’, con una quota di attività bloccate dell’82%, ‘Attività artistiche e sportive’, totalmente bloccato, e ‘Altre attività di servizi’ (41% di bloccati), settori che mostrano salari medi annuali, settimanali e settimane lavorate di gran lunga inferiori rispetto ai valori nazionali.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, dopo il 4 maggio la quota di occupati in settori riaperti è maggiore nelle regioni e nelle province del nord, soprattutto nel nord ovest. L’incidenza dei settori essenziali è quindi più elevata proprio nelle regioni che hanno registrato una diffusione più elevata del Covid-19, circostanza che può destare preoccupazione. Per contro, nelle grandi città, dove sono maggiori le preoccupazioni per gli spostamenti lavorativi attraverso i mezzi pubblici, si rileva una incidenza minore dei settori riattivati.
Per quanto concerne gli indici di rischio collegati alle modalità di svolgimento del lavoro, i settori dispensati dal blocco delle attività presentano un livello medio di prossimità fisica nello svolgimento delle mansioni minore rispetto a quello dei settori bloccati, mentre il livello della propensione a lavorare da casa, in smart working, risulta più elevato. Tali evidenze mostrano che i criteri utilizzati per identificare i settori aperti hanno prodotto una quota di addetti nei comparti riattivati maggiore rispetto al rischio di contagio che il mantenimento delle attività comporta. I criteri sottostanti le scelte operate si mostrano improntati alla massima riduzione del rischio di diffusione del virus, compatibilmente con la necessità di mantenere aperti alcuni comparti considerati essenziali.
Simili evidenze portano a concludere che se da un lato la scelta dei settori che saranno bloccati dopo il 4 maggio coinvolge lavoratori che presentano caratteristiche di maggiore fragilità nel mercato del lavoro, dall’altro tale scelta appare supportata dal fatto che i settori bloccati presentano indici di rischio di contagio più elevati, giustificando la maggiore cautela e attesa prima della riapertura più estesa.
Lo studio integrale può essere consultato in Studi e analisi dalla voce Dati, ricerche e bilanci presente sulla Home page del sito www.inps.it e sulla Home page del sito www.inapp.org.
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