Le ricerche si concentrano sull’assenza di gusto e olfatto, due sintomi sottovalutati e a lungo proprio sconosciuti del Covid-19, che hanno fatto sì che diverse persone trasportassero il virus senza saperlo. E invece, in questa fase 2 dove la ‘caccia’ agli asintomatici diventa fondamentale per la lotta contro la diffusione del contagio, la ricerca assume una rilevanza nazionale
Si tratta di uno studio preliminare multicentrico (con Bologna ci sono i centri di Sassari e Salerno), basato sull’analisi di un campione composto da diverse centinaia di operatori sanitari – medici, infermieri od operatori socio-sanitari – in isolamento domiciliare perché risultati positivi al Covid.
Alcuni di questi lo hanno scoperto soltanto quando, ad aprile, sono partiti i test sierologici a tappeto, “e così hanno ricostruito come, anche più di un mese prima, avevano avuto questi sintomi ‘campanello d’allarme'”, rivela la dottoressa Baietta a Il Resto del Carlino.
Non veri e propri asintomatici, quindi, ma “paucisintomatici. L’anosmia (mancanza di odorato) e l’ageusia (mancanza del gusto), secondo il nostro studio, compaiono nel 70% dei pazienti affetti da Covid-19 e per la maggior parte di loro costituisce il primissimo sintomo della malattia”.
Dunque, un alert importantissimo soprattutto in questo post-lockdown: fare caso a questa mancanza di gusto od olfatto, non scambiandola per un raffreddore, può portare a una tempestiva identificazione del virus, con conseguente isolamento dell’infetto, evitando così che il contagio si allarghi. Secondo lo studio, all’incirca nel 30% dei casi anosmia e ageusia sono stati i primi sintomi del Covid, mentre per il 5% sono stati gli unici, perciò, molto spesso, sono stati sottovalutati o non riconosciuti.
«Siamo stati i primi a raccogliere e analizzare i dati su questi sintomi, peraltro durante la fase 1, quando la pandemia era al culmine e c’era poco tempo per occuparsi di questi studi – rivela la dottoressa Petrocelli(nella foto da sinistra) a Il Resto del Carlino -. Ma così facendo abbiamo fatto questa importante scoperta, stravolgendo analoghi studi cinesi, che ritenevano invece come solo il 5% circa dei pazienti accusasse i sintomi in esame. Invece, noi abbiamo scoperto come siano estremamente diffusi e per di più precoci e molto specifici. Questo potrà avere un ruolo decisivo nella prevenzione del contagio».
Il campione dello studio, composto da operatori sanitari, è stato selezionato perché ritenuto più attendibile nel comprendere e rispondere ai quesiti posti, essendo, di fatto, ‘del mestiere’.
«Dalle nostre analisi emerge come le papille gustative si riattivino solitamente dieci giorni dopo la fase acuta della malattia, anche se in alcuni casi uno dei due sintomi si è protratto anche per 3040 giorni. Questa poi è solo una prima fase dello studio: successivamente approfondiremo se vi sia un legame tra la durata del sintomo e l’infettività del paziente Covid positivo» rivela la dottoressa Baietti.
Fonte: IlRestodelCarlino
a