Il secondo punto del nostro ‘Manifesto’ riguarda l’area portuale, luogo che in molti accende ancora forti emozioni perché legato ai ricordi migliori di una Città che non c’è più.
Ovviamente, non è pensabile un ritorno al passato. Non tutte le trasformazioni urbane sono reversibili, anche quando sono una ingiuria all’Universo. E, certamente, la decisione di fare il Porto sotto l’Olivieri, con la zona industriale dall’altra parte e con la Città in mezzo, costituisce uno dei massimi esempi di intervento ‘contro-natura’, oltre che di ottusità progettuale.
‘Grazie’ a tale scelta, oggi abbiamo il Porto con una Città, non la Città con un Porto, e siamo costretti a vivere in una ‘rotatoria per tir’ nella quale, tra fumi, rumori e polveri sottili, si è perso il concetto della qualità della vita come diritto primario di ogni essere umano.
Sarebbe anche accettabile, se ci fossero spazi ampi, retroporto, ferrovia, strade, in grado di assicurare la funzionalità di un grande porto ‘gateway’. Ma, non ci sono. E non ci saranno mai. Così, il Porto è destinato ad essere, per sempre, un ‘corpo estraneo’ conficcato nel fianco della Città e la causa di gravi danni ambientali. Perché, se è vero che assicura posti di lavoro, è anche vero che le merci movimentate interessano altre aree produttive del Paese e che il loro semplice passaggio ci lascia gli effetti ‘sporchi’ del trasporto e scarica sulla Città il ‘costo sociale’ in termini di salute e vivibilità.
Ebbene, per tutto questo, noi abbiamo perso il mare, l’Olivieri, via Croce e il quartiere più identitario. Abbiamo ‘accoppato’ molte costruzioni di via Ligea, svilendone il valore immobiliare, e abbiamo costretto i residenti a vivere ‘sotto il ponte Gatto’. Abbiamo mortificato la dignità mostrando ai turisti la parte peggiore della Città e, da ultimo, stiamo alterando gli equilibri della natura trapanando la montagna, prosciugando le falde acquifere o deviandone i flussi verso ‘non si sa dove’. Chiediamo, a chi non fosse d’accordo, di fare un confronto costi-benefici. Per tutta la Città, non per i portatori di singoli interessi.
Noi non siamo contro le attività portuali. Pensiamo solo che sia necessario un giusto equilibrio tra esigenze generali e particolari e che, in ogni caso, prevalga sempre la tutela della salute dei cittadini. E’ una regola da applicare in ogni altra circostanza, anche a Fratte, nel rispetto dell’art. 41 della Costituzione.
Sullo scalo commerciale, abbiamo espresso la nostra posizione più volte (cfr. pagina Fb), sempre sollecitando modalità operative più ‘compatibili’, più ‘coinvolgenti’, più ‘partecipative’.
Peraltro, oggi, qualcosa sta cambiando. A fine 2019, il movimento container è diminuito del -8,82%, passando dai 453.187 teu a 413.227. Per le auto, è un tonfo: -29,04%. Siamo a un terzo della potenzialità di oltre 600.000 annue (fonte: Aut. Portuale). Eppure, il 2019 è stato un anno ‘normale’. E’ vero che sono cresciuti gli ‘sfusi’, ma si tratta di un commercio minore e ‘poco nobile’: rottami, rifiuti, cemento, ferro.
Si dice che sia colpa dei fondali. All’opposto, sembra che qualche Compagnia si sia trasferita a Napoli e le auto siano passate a Gioia Tauro per le ben diverse dotazioni infrastrutturali e per la velocità ed economicità dei trasporti (fonte: A.P. e il denaro). Non a caso, lo scalo di Napoli è cresciuto in container del +16,90%, da 583.361 teu a 681.929, e Gioia Tauro è divenuto il primo hub in Italia. E, comunque, se facciamo arrivare navi più grandi, le merci, dopo, dove le mettiamo e come le trasportiamo?
Noi riteniamo sia necessario prendere atto di una deficienza strutturale insormontabile e cambiare strada abbandonando ogni progetto di ampliamento costoso e potenzialmente inutile. Ci riferiamo al tombamento di almeno nove ettari di mare e al mostruoso multipiano per le auto (!), alto 10,60m. e con una superficie in pianta di 25.735mq., proprio sotto l’Olivieri. Uno scempio per il quale c’è chi fa ancora il tifo.
Così, noi pensiamo che lo scalo debba ritornare nella disponibilità della ‘sua’ Città perché, nel rispetto della funzione, possa essere trasformato in un’area di ‘servizi specializzati’ a sostegno di una prevalente destinazione produttiva in chiave turistica.
In sintesi, la banchina di Ponente, la Rossa e quella ovest Trapezio, dovrebbero essere destinate ai traghetti ro-ro passeggeri/merci (nel 2019, +24,41%), mentre il resto del Trapezio dovrebbe accogliere le attività della nautica da diporto, in luogo di altre aree che sarebbe più giusto recuperare all’uso balneare (Capitolo S. Matteo). Infine, i moli 3Gennaio e Manfredi dovrebbero essere capilinea per le crociere e i trasporti verso le Costiere (nel 2019, +34,05 e +12,13). Negli spazi residui troverebbero posto piazzali per il parcheggio delle vetture, aree verdi e attività di servizio per i viaggiatori.
Noi pensiamo ad uno scalo ‘pulito e ordinato’, con alberature e giardini, in grado di offrire ima immagine operosa, moderna, accogliente, allegra, viva, ecologica, collegato ad un quartiere con alberghi, attività di ristorazione, locali di vita collettiva, un parco giochi per i bimbi e luoghi della cultura, tra cui un museo del mare nel mercato del pesce. Poi, a una via Ligea, con terrazze sul mare, trasformata in vero viale di ingresso alla Città e congiunta con un ascensore all’Olivieri, oggi luogo di abbandono e desolazione, per portare i viaggiatori a godere di un panorama ineguagliabile passeggiando tra fiori, profumi e opere dei nostri ceramisti. Un percorso di cultura, civiltà, arte e fantasia offerto da una Città veramente europea.
E’ stato detto che questa tragedia sanitaria procurerà una profonda modifica delle abitudini di vita e una crisi, ancor più profonda, delle attività economiche. Per questo, dobbiamo sentirci tutti impegnati a realizzare un mondo con più ambiente, più igiene, più verde, più qualità, e a proporre immediate soluzioni per chi è in difficoltà, o lo sarà, per la perdita del lavoro. E’ certo che, prima o dopo, tutto passerà. E il turismo tornerà ad essere una enorme opportunità per il nostro territorio.
Non è un caso, quindi, se abbiamo inserito l’area portuale nel nostro ‘Manifesto per Città’.
Il suo recupero ridurrebbe grandemente gli attuali danni ambientali e attiverebbe lavori edili di rigenerazione urbana, consistenti e duraturi, in funzione di traino per l’intera filiera. A seguire, le nuove attività avviate offrirebbero occupazione di gran lunga superiore all’attuale, anche più qualificata e più professionale, presso le aziende della nautica, dell’artigianato, del turismo, dei trasporti e della cultura. Per i fondi, nessun problema. Agevolazioni statali e capitali privati sarebbero sufficienti.
Chi ha visto il Porto che fu, lo ricorda con dolore: un angolo di colore, di gioia e di vita per tutti.
Oggi, è un’area estranea e ostile. La nuova missione da noi proposta, coerente con la vera vocazione della Città, può veramente trasformarlo in una sicura fonte di lavoro per ‘tutta’ la Comunità nonché in un luogo di grande qualità in grado di accrescere, nelle future generazioni, l’orgoglio di essere figli di questa terra.
Spetta a noi preparare il domani dei nostri figli. Decidiamo cosa fare applicando la politica dell’amore.
Questa Città ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
(segue)
Voiapplicate la politica dei Vs interessi, certamente non professare amore ma odio, la dimostrazione è che io vi odio.
condivido ogni singola parola pubblicata nell’articolo: c’è bisogno di gente pensante a Salerno. Il fatto che esistono ancora persone ed associazioni che ragionano, mi lascia una speranza, pur flebile, per il futuro.
Non condivido l’idea di lasciare le navi ro-ro dove approdano oggi perchè l’inquinamento e l’invivibilità sono causate proprio dal gran numero di automezzi pesanti e leggeri che queste navi vomitano a Salerno in continuazione! Il porto deve essere esclusivamente adibito al diporto. Le uniche navi che farei approdare al Manfredi sono i battelli per la costiera amalfitana, gli aliscafi per la penisola sorrentina, Capri, Ischia ed il Cilento. Tutto il resto in un nuovo porto costruito lontano dalla città e che abbia un retroporto importante e sia connesso alle direttrici ferroviarie e autostradali. Solo così cambierebbe la qualità della vita in quella parte della città ostaggio del mostro e contemporaneamente si avrebbero altissimi benefici in termini di occupazione, oltre che nel nuovo porto che avrebbe anche un futuro più luminoso di quello attuale, nel settore turistico, alberghiero e della ristorazione nonchè della nautica da diporto.
Discutere di temi di alta urbanistica in una città che realizza parchi urbani e poi ci costruisce dentro (vedasi parco del Galiziano) è come predicare nel deserto. Sarebbe interessante fare un’opera di ricerca per comprendere quali valutazioni condussero la politica locale dell’epoca a sacrificare l’area di maggior pregio paesaggistico per realizzarvi un porto commerciale. Io penso che le peculiarità di Salerno da un lato ne determinano il fascino, dall’altro ne pregiudicano fortemente le possibilità di sviluppo che non a caso, a partire dalla crisi dell’apparato industriale e in attesa di un decollo turistico in realtà mai avvenuto, si è arrestato.
Nella seconda metà del settecento il governo murattiano creò le entità territoriali di Pellezzano e Pontecagnano privando Salerno della possibilità di espandersi lungo le direttrici nord est e sud. A distanza di due secoli e mezzo i due comuni che ho citato sono poco più che satelliti del capoluogo, ma la pressione demografica del secondo dopoguerra ha costretto la città a uno sviluppo caotico, la carenza di spazi (associata agli appetiti degli speculatori) ha fatto sì che venissero adibite all’uso residenziale aree che invece sarebbe stato meglio utilizzare per allocarvi infrastrutture strategiche. Ci ritroviamo adesso un porto privo di area retro portuale, un campus universitario fuori dalla città, un’area industriale che si avvia e diventare un deserto e problemi di congestione e mobilità irrisolti. La riconversione che l’articolo auspica è di portata troppo ampia per essere ipotizzata in un periodo di crisi profonda dai risvolti imprevedibili. Ma poi siamo proprio sicuri che il mantra del turismo, l’idea che vede il futuro benessere della città veicolato dalla riconversione ricreativo – balneare sia la strada da battere? Gli ultimi tre mesi non dovrebbero sconsigliare di affidarsi a prospettive di sviluppo unidirezionali?
Tutto bello ma irrealizzabile. Dismettere un porto è una cosa enorme in termine di logistica e costi ambientali. Realizzarne un altro ma dove? A Pontecagnano o Marina di Eboli, nel pieno di zone a vocazione agricola con costi di esproprio che prevedibilmente saliranno alle stelle e appetiti vari che si avventerebbero sull’osso?. Basta vedere quello che è successo con l’aeroporto tra ricorsi e controricorsi. Rinunciare ad avere un porto vuol dire rinunciare a cospicue entrare comunali nonché ad una delle ultime attività che bene o male assicurano delle ricadute positive sull’occupazione. Il tutto in una crisi come questa? Risolvere il problema del Cernicchiara meglio che si può e anche quello dei fondali con gli opportuni dragaggi sono le uniche soluzioni realistiche che vedo.
D’accordo con cittadino salernitano
Ma dove prendiamo i soldi necessari?
Sarà bello sognare
Purtroppo una volta rotto un uovo non è possibile rimetterlo insieme, ormai la frittata è fatta.
Magari la spiaggia non la rivedremo più ma si può certamente ragionare attorno ad un riutilizzo/riduzione intelligente dell’attuale area portuale ed alla ricollocazione dello scalo commerciale.
Farne uno scalo puramente turistico e di linea ha una sua logica nell’ottica dello sviluppo della città, utilizzarne gli ampi spazi per qualcosa di meglio di distese di container…. pure.
Giusto pure il commento di Città Pulite… il tutto non può prescindere dalla disponibilità di investitori pubblici e privati, l’operazione avrebbe un costo enorme.
Sarebbe sorprendente se il ricordo degli anni andati (tiemp bell e’ na vote), sia se vissuti direttamente che se evocati da nonni o genitori, non fosse fonte di nostalgiche reminiscenze e di confronti fra i modi di vivere del presente e quelli del passato, generalmente con esiti favorevoli a questi ultimi.
Gli amici di “Io Salerno” (mi sia concessa la confidenza) visibilmente vorrebbero riprodurre nell’area portuale le condizioni ivi esistenti alcune decine di anni fa, pur tenendo conto ovviamente di alcune mutate condizioni.
Eppure io quella … idilliaca condizione, negli anni cinquanta/sessanta, la ricordo bene. C’erano una serie di stabilimenti balneari. Non ci si andava in macchina, sia perché all’epoca ne circolavano poche e sia perché già allora sarebbe stato problematico parcheggiare. L’unico mezzo di trasporto era la filovia, ma il percorso in filobus dalla città agli agognati lidi richiedeva una buona dose di sopportazione.
Arrivati nei pressi del porto, si aveva la visione di quanta poca capacità ricettiva potesse avere quello specchio di mare racchiuso da un molo di limitata estensione e in grado di dare ricovero solo a natanti di piccolo cabotaggio. Posso testimoniare che perfino una Corvette della Marina Militare, per una sosta operativa di poche ore, non entrò in porto ma stette al largo, dando fondo all’ancora.
Non fu peregrina la vocazione di quanti si batterono perché il vecchio porto, da secoli ubicato in quella posizione assumesse una struttura e una connotazione più consona alla città di appartenenza e soprattutto fosse in grado di sviluppare una mole di traffici marittimi, forieri di benessere per la città, di crescita dei livelli occupazionali e di sviluppo socio-economico.
L’errore fu la mancanza di lungimiranza tenuta nel volere solo allargare, potenziare e ammodernare l’esistente, senza tener conto che alle sue spalle c’era il nulla, in termini di spazi, o meglio c’era (e c’è) un costone collinare che ne condizionava la futura crescita. C’erano possibilità più concrete di quanto ce ne siano ora, affinché si delocalizzasse il porto costruendone uno verso sud-est, in un sito più favorevole per dotare la struttura di idonei indispensabili spazi retroportuali e di altrettanti irrinunciabili raccordi su ferro e su gomma con i grandi corridoi nazionali. Questa ipotesi non trovò i necessari pareri favorevoli, ma neppure fu data la dovuta importanza al fatto che l’impedimento dovuto alla mancanza di un retroporto e di adeguate vie di comunicazione avrebbe costituito un forte handicap per un sano sviluppo delle attività portuali.
Ora sarebbe una pia illusione delocalizzare, come da alcuni auspicato. La zona a sud di Salerno si sta sempre più orientando a divenire un’area turistica. Sia un porto con penisola proiettata al largo di qualche chilometro, sia un classico porto basato in terraferma, cozzerebbero pesantemente con certi programmi di diversa utilizzazione di quei territori. E’ facile immaginare quali sarebbero le conseguenze.
Tornando all’esistente, l’aspirazione a convertire le funzioni del porto per dsre accoglienza a imbarcazioni da diporto e navi da crociera, non so se è frutto di attente valutazioni circa il “grado di riempimento” assicurabile da questi natanti.
Intanto già esistono il Marina di Arechi e lo stesso Masuccio Salernitano che assorbono una importante quota di clientela. Quanto alle navi da crociera, pur con l’aumento dei fondali, davvero si ritiene che ci sarebbero presenze continue di navi in porto, pronte a sbarcare migliaia di crocieristi ad ogni arrivo??
Forse è meglio intervenire sull’esistente, eliminando certe storture e lasciando che le attività portuali non perdano la loro efficienza ed una efficace resa operativa. Si metta poi mano a quanto da tempo è emerso come un problema da non rinviare ancora e cioè la realizzazione di un raccordo ferroviario a mezzo di un tunnel con innesto a via Ligea.
Le galleria in corso di costruzione – la Porta Ovest – risponderanno solo in parte alle esigenze.