A questi interrogativi ricercatori e virologi di tutto il mondo stanno cercando di dare una risposta, scontrandosi non di rado. C’è chi sostiene che i trattamenti utilizzati nella cura dei pazienti affetti da Covid-19 siano più tempestivi e collaudati rispetto a qualche mese fa, e chi sostiene che il coronavirus ora colpisca persone più giovani, le quali raramente sviluppano serie complicazioni che possano portare al decesso. In ogni caso, tutti sono concordi nel dire che non è il momento per abbassare la guardia perché il virus è per sua natura imprevedibile.
“Sembra che la malattia sia meno grave”: ma è davvero così?
Secondo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano e professore Emerito dell’Humanitas University, “il virus non è più gentile, non è cambiato, ma la malattia in estate si è attenuata”. L’immunologo invita a distinguere tra cambiamento del virus e attenuamento della malattia, due cose totalmente diverse: “La malattia si è attenuata per diverse ragioni – spiega al Corriere della Sera – la prima è che, comunque, le polmoniti da virus respiratori praticamente scompaiono d’estate. La seconda è che nei confronti delle persone più fragili, come gli anziani, si sta più attenti. La terza è che sono i giovani i più colpiti, ma hanno più difese”. Errato sarebbe, comunque, pensare che “il peggio è passato” perché non c’è alcuna prova che il virus stia diventando più debole: “L’unico dato ‘sicuro’ arriva da un lavoro pubblicato sulla rivista Cell che dice che il virus è ‘stabile’ e non sta diventando più ‘gentile’. Altre osservazioni (sulla minore aggressività, ndr) si basano su piccoli studi, non ancora pubblicati. Ma creano messaggi distorti che confondono la gente”.
Il virus è meno letale? Forse è perché “ha perso un pezzo”
Perché la letalità di Covid-19 è così diversa nei vari Paesi del mondo e perché in alcune zone – come l’Italia – si muore più che altrove? A spiegarlo c’è un nuovo studio, firmato da Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e Davide Zella, dell’Institute of Human Virology, all’università del Maryland. Stando alla ricerca, che sarà pubblicata dal Journal of Traslational Medicine, il virus potrebbe aver “perso un pezzo” e sarebbe diventato meno letale in alcune zone del mondo. “Abbiamo esaminato numerosissime sequenze di Sars-Cov-2 da un database mondiale, raccolte da dicembre 2019 a luglio”, ha spiegato l’epidemiologo Ciccozzi all’Adnkronos Salute. “Abbiamo scoperto che sta emergendo un ceppo che ha perso un ‘pezzo’: abbiamo rilevato la delezione nella proteina nsp1, implicata nella patogenesi del virus. Una modifica che può averne ridotto la letalità e che potrebbe spiegare il limitato numero di decessi rispetto ai contagi che sembrano evidenziarsi in certe aree geografiche”. “La scoperta di questa delezione è un elemento interessante – ha aggiunto – ma voglio sottolineare che resta importante continuare a rispettare la distanza e ad usare le mascherine per contenere la diffusione di questo virus che, come abbiamo visto in questi mesi estivi, si diffonde con facilità”.
Il virus ora ”è giovane” e i giovani hanno generalmente sintomi meno gravi
L’età media dei contagiati a luglio in Italia, stando a un report dell’Istituto Superiore di Sanità, è precipitata a 35 anni, quando nei mesi più drammatici dell’epidemia superava abbondantemente i 60 anni. Non a caso l’aumento dei contagi nelle ultime settimane è strettamente collegato ai rientri dalle vacanze. La notizia positiva è che i giovani hanno generalmente sintomi molto meno gravi, quella negativa è che sono contagiosi, anzi i focolai partono in gran parte proprio da giovani asintomatici. Enrico Bucci, biologo e docente alla Temple University di Filadelfia, commenta così il dato: “Morale: è vero che i giovani rischiano meno la propria salute, ma essi sono veicoli che il virus può usare per infettare altri soggetti in cui la malattia non ha un decorso così benigno”. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, spiega: “Il ‘ringiovanimento’ dell’epidemia comporta nel breve periodo un minor rischio di sovraccarico dei servizi sanitari. I giovani possono non ammalarsi o avere sintomi lievi”.
La linea del “basta catastrofismi”
Una vignetta condivisa da Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione all’Irccs San Raffaele di Milano, fa un raffronto tra i morti per Covid e quelli causati da altre patologie: “Ieri in Italia sono morte 4 persone per Covid. È terribile”, dice un uomo vestito da morte. “Ieri in Italia sono morte anche 638 persone per malattie cardiocircolatorie e 483 per tumore! Questo è davvero terribile”, risponde l’altro. Il post mostra tutto il suo scetticismo verso gli allarmismi e la paura di “seconde ondate”. Della stessa opinione Matteo Bassetti, che tira in ballo lo studio di Ciccozzi sulla mutazione del virus che “sembrerebbe renderlo meno aggressivo e virulento”. “Oggi ci sono mille contagiati per la maggioranza asintomatici con soli tre decessi e una riduzione dei malati gravi. Ma a nessuno interessa dirlo. Le regole sono sempre le stesse (D-M-L), ma basta catastrofismo”, aggiunge.
Attenzione ai superdiffusori
Nei tamponi prelevati nelle ultime settimane si è riscontrato un aumento della carica virale, ossia il numero delle copie di materiale genetico del nuovo coronavirus presenti in un millilitro di materiale biologico in esame. Il fenomeno potrebbe essere la spia dell’emergere di nuove infezioni, una possibile nuova ondata che sta provocando numerosi focolai e che, intercettata sul nascere, potrebbe essere ancora controllata. “Questo può voler dire – afferma il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Milano Bicocca e direttore del laboratorio Cerba di Milano – che il virus si replica bene in alcuni organismi e che questi soggetti potrebbero essere dei super diffusori”. Secondo l’esperto l’ipotesi è che siano infezioni molto recenti, all’esordio, “mentre fino a fine luglio vedevamo tamponi di infezioni acquisite nelle settimane precedenti, in sostanza code di infezioni in via di guarigione e che in alcuni casi possono persistere anche per più di tre mesi prima che il virus sia completamente eliminato dall’organismo”. Teoria condivisa anche dall’infettivologo Massimo Galli, dell’Ospedale Sacco e dell’Università Statale di Milano. Secondo il professore, la presenza di una forte carica virale nei tamponi potrebbe essere il segnale di molte nuove infezioni. ”È purtroppo un fenomeno che nell’ultimo periodo si è verificato più volte”, aggiunge.
Sull’alto numero dei casi si è espresso anche il virologo Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia all’Università di Padova, secondo il quale “in Italia bisogna passare dagli attuali 60 mila tamponi al giorno a 250 mila. È il passe-partout per convivere con l’epidemia senza cadere in un secondo lockdown. Se ad agosto siamo a quasi mille casi al giorno come si può pensare che a ottobre e novembre non aumentino? Senza un piano adeguato tutto diventa rischioso, anche riaprire le scuole”.
Commenta