Il settore del wedding, che fattura in Italia oltre 37 miliardi di euro all’anno ed occupa 500mila lavoratori, ha nella regione Campania la “locomotiva” produttiva del comparto. Proprio in questa regione, dove il fatturato dei soli matrimoni si attesta a 2,7 miliardi annui, senza considerare le altre cerimonia celebrative (comunioni, cresime, battesimi), è giunta pochi giorni fa l’ordinanza restrittiva del Governatore che ha, di fatto, chiuso completamente l’esecutività dei festeggiamenti relativi alle cerimonie religiose e, quindi, quella di banchetti nelle strutture ristorative. L’azione impedisce così lo svolgimento dell’attività lavorativa ad oltre 80mila operatori.
“Abbiamo già cercato in precedenza con il Governatore De Luca mediazioni per trovare le soluzioni necessarie a tutelare il bene salute senza comportare una chiusura completa del comparto cerimonie. Ma l’ordinanza nr.79 – afferma il presidente Luciano Paulillo – è un atto di guerra contro chi ha sempre osservato le disposizioni normative e proposto condizioni migliorative per arginare il problema.
Oramai si è superato il limite rischiando di ledere i diritti costituzionali. I nostri legali, studiando il documento restrittivo della Regione Campania, hanno riscontrato la possibile violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione Italiana. Dunque procederemo in termini legali presso le sedi competenti”.
L’analisi espressa dai legali si racchiude infatti in poche, ma esaurienti, righe: “Innanzi alla necessaria tutela di un interesse collettivo quale quello della salute pubblica è indubbio il doversi sacrificare, o meglio limitare, un altro diritto costituzionalmente riconosciuto quale il diritto al lavoro di cui all’art. 4. Non sussisterebbe, almeno in linea di principio e in forza di una prima analisi superficiale, alcun problema giuridico degno di questo nome, poiché il “bene della vita” come oggetto di tutela, da parte del Nostro ordinamento, viene identificato in termini di ‘sommo bene’, di alterità normativa superiore non recognoscens.
Ciò nonostante ci troviamo innanzi a quella che potrebbe assumere le sembianze di un’eclatante violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione Italiana proprio poiché, in tal caso, non si discute assolutamente di un bilanciamento tra interessi collettivi, ove si tende a tutelarne uno limitandone un altro, ma si dispone una “discriminazione economica” che viene rimarcata da una chiusura assoluta prevista dall’ art. 1. comma 2 dell’ordinanza 79/10/2020 della Regione Campania, ove si fa divieto dello svolgimento di qualsiasi attività celebrativa postuma riti religiosi. L’impossibilità di definire “festa” e il cosa debba intendersi per celebrazione dovrebbe già di suo rendere chiaro il come anche in un ristorante si possa tranquillamente celebrare un momento di spicco.
Risalta, quindi, il vuoto normativo di cui gli attuali strumenti di controllo sarebbero fautori. Proprio in vista di tali elementi e considerazioni, sembrerebbe possibile attuare un’impugnazione dello strumento in analisi, finalizzata ad ottenerne l’annullamento per eccesso di potere e violazione e/o errata interpretazione di legge, nonché per sollecitare il giudice amministrativo a sollevare incidentalmente la questione di legittimità costituzionale della sopracitata ordinanza”.
Anche il vice presidente AIRB, Danilo Dionisi, sottolinea la necessità di procedere legalmente: “Non esistono strumenti di dialogo in situazioni simili e soprattutto non si prevedono alternative ristoranti per una scelta così drastica. L’esempio negativo prodotto in Campania va fermato per dare un segnale forte, in caso di una eventuale sentenza favorevole del TAR, alle altre regioni italiane. Le Istituzioni, locali e nazionali, se vogliono assumere atteggiamenti drastici devono prevedere interventi economici di supporto”.
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