Per fortuna, nella piccola frazione del piccolo paese di collina, non stavamo mai fermi e le calorie si bruciavano velocemente.
Gli anni ci hanno dimostrato che nella vita si cresce sia con ‘intrugli’ da bere, come quelli della nonna, sia altri da sopportare, pure peggiori, e si deve sempre guardare al futuro seguendo il flusso del tempo che, come si sa, si muove solo in avanti. E’ un movimento di ‘condanna’ allo sviluppo.
E, ancora, che, se non si torna mai indietro con gli anni della vita, capita spesso di essere costretti a tornare indietro nei fatti della vita con processi di ‘dimagrimento’ spesso non favorevoli. Anzi, più spesso ancora, molto deleteri.
Quando questo accade per una Comunità, spetta ai responsabili intervenire applicando i correttivi più opportuni in funzione dei relativi poteri. Non è negabile, tuttavia, che in questo mondo complicato e complesso molti fattori interagiscono a livello globale sfuggendo ad ogni possibilità di gestione o di controllo locale. Due di essi, però, sono concretamente manovrabili anche in periferia, a meno di uno sconquasso: la decrescita economica e quella demografica.
Sappiamo, tutti, che la prima non apporta mai vantaggi. E, lo sanno soprattutto quelli che la subiscono e soffrono per la riduzione della ricchezza disponibile. Di questi tempi, non c’è bisogno di esempi.
La seconda viene talora ritenuta opportuna per alleggerire le aree di sovraffollamento e favorire anche una migliore fruizione dei servizi disponibili. Epperò, è indubbio che essa esercita forti effetti depressivi sulla domanda complessiva nei diversi settori produttivi, magari innescando pure una crisi economica. Sono considerazioni note a tutti. E, neppure qui c’è bisogno di esempi.
Purtroppo, da diversi anni, entrambi i fenomeni stanno condizionando la vita della nostra Città.
Le difficoltà economiche sono l’effetto di un trend che ha interessato tutto il Paese, salvo qualche isola felice. E, purtroppo, la situazione sanitaria in atto non induce a previsioni favorevoli.
Sebbene la ripresa richieda scelte del Governo centrale, siamo convinti siano necessarie decisioni anche a livello locale e, su questo, ci siamo già espressi proponendo un ‘Manifesto per la Città’ (cfr. pagina Fb). Non è utile parlarne ancora, qui.
L’andamento demografico sfavorevole, invece, non solo è un fenomeno da gestire in Città, ma merita di essere affrontato con immediatezza poiché rappresenta la criticità potenzialmente più distruttiva nel medio/lungo periodo. Vediamo perché.
Alla data del 30/06 ultimo, è stato ‘sfondato’ al ribasso il limite dei 132.000 residenti. Siamo scesi a 131.958 unità (fonte: Istat). Solo a inizio 2015, eravamo 135.603. Quindi, lasciando da parte gli effetti disgraziati della pandemia sul prossimo dato finale, in cinque anni e mezzo abbiamo perso 3.645 cittadini. Se, poi, partiamo dai 139.019 del 2010, siamo a – 7.061, quanto un centro della Provincia.
Da un esame dei tabulati Istat, emerge che questo risultato è frutto prioritario del saldo negativo tra nuovi nati e deceduti, in atto da almeno venti anni a causa di un indice di natalità sceso alla metà di quello di mortalità, rispettivamente 6,5 e 12,5 ogni 1.000 abitanti. Solo nel 2019, il ‘deficit demografico’ è stato di ben 800 unità.
In verità, emerge anche che si è invertito il saldo positivo della migrazione interna e, quindi, che aumenta il numero dei cittadini che vanno via rispetto a quelli che vengono da noi. Nel 2019, sono stati, rispettivamente, 2.346 contro 2.434 e lo sbilancio è divenuto positivo, per 58 unità, solo grazie agli arrivi da estero.
Su queste basi, riteniamo non dilazionabile affrontare il problema predisponendo un programma incentrato su interventi in campo sociale e su linee di indirizzo in quello economico per avviare un recupero possibile, ma solo dopo molti anni. Ed è verosimile che, intanto, si scenda al di sotto del livello di 130.000 residenti alla fine del prossimo anno.
Per calibrare le azioni, sarà indispensabile procedere alla segmentazione della popolazione per classi di età individuandone le conseguenti necessità. Abbiamo deciso di provare, nella veste di ‘apprendisti stregoni’. Lasciamo a tutti il diritto di esprimere critiche e considerazioni.
La prima classe, da noi estrapolata, coincide con la scuola dell’obbligo, da 0 a 14 anni. A fine 2019, l’Istat rileva la presenza di 15.375 unità, con una riduzione di 891 nei cinque anni precedenti. Sappiamo, tutti, che il fenomeno ha già determinato alcune dolorose chiusure di luoghi di formazione. E’ verosimile che la causa prevalente sia quella della minore natalità e che, quindi, per contrasto, siano necessarie politiche di sostegno in campo scolastico e sociale come: asili nido, (de)contribuzioni sulle spese di istruzione e di frequenza, su quelle sanitarie, sugli oneri a carico delle famiglie. Magari, anche in sintonia con misure statali.
Nella classe immediatamente superiore, dai 15 ai 29 anni, quella della istruzione superiore ed universitaria, c’è stata una riduzione di ben 1.443 unità, sempre nel quinquennio, fino alle 21.148 del 2019. In questo segmento è certamente rilevante il fenomeno della migrazione per lavoro. E’ presumibile, però, che il dato sia solo apparente, perché l’Istat denuncia una dispersione scolastica intorno al 15% e ritiene presenti molte partenze di giovani, purtroppo ‘senza arte né parte’, costretti ad allontanarsi temporaneamente senza cancellare la residenza. Per questo segmento, sarebbero necessari interventi di ‘mentoring’ per indirizzare gli studenti verso attività idonee per talento, inclinazione, volontà, se e in quanto presenti. Non è negabile, però, la necessità di adottare collaterali scelte di indirizzo produttivo in grado di esortare i giovani al conseguimento di professionalità più elevate. Pure di questo, abbiamo parlato nel ‘Manifesto’.
Il terzo gruppo, per i cittadini tra i 30 e i 65 anni, si contrae di 1.368 unità fino alle 64.141 del 2019. La causa prevalente può essere quella della mini-migrazione conseguente allo spostamento in paesi limitrofi per i minori costi della vita, abitazioni e fitti. Se così fosse, e riteniamo sia, questo fenomeno potrà trovare soluzione naturale nelle regole di equilibrio del mercato.
L’ultimo gruppo, dai 65 a oltre 100 anni (a fine 2019 ne avevamo 38, di cui 25 donne), è l’unico in aumento. Siamo arrivati a 32.985 unità con 801 presenze in più. Inutile approfondire. Le motivazioni sono intuibili.
In sintesi, a parte l’ultimo segmento, la nostra Città sta arretrando ‘…come il grasso sopra i carboni’.
Negli ultimi dieci anni, abbiamo perso 7.061 residenti avviandoci verso un futuro da ‘Città di riposo’, o con tante ‘Case di riposo’. In verità, non riteniamo auspicabile che la popolazione possa essere proiettata a dividersi tra anziani e badanti.
Auspichiamo che, con il contributo di tutti, sia possibile invertire la marcia e, in tal senso, esprimiamo la nostra subordinata disponibilità al dialogo nella convinzione che non è un errore provare a fare il nostro dovere, ma che è sempre sbagliato quando evitiamo di farlo. Con gli effetti della crisi sanitaria, non è possibile perdere tempo per sentir dire, successivamente, che non c’è più tempo.
Capire i bisogni degli altri, è il primo passo da fare per amare gli altri.
Questa Città ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione Io Salerno
Quello della costante decrescita demografica di Salerno è un problema drammatico che, salvo rarissime eccezioni, stampa, amministrazioni e alcune forze “intellettuali” della città fingono di ignorare, come struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia. I fattori, come detto nell’articolo, sono molteplici; alcuni investono il cosiddetto “sistema paese” nel suo insieme, altri sono specifici della nostra realtà locale. Io sostengo da tempo che su Salerno si sia scatenata la tempesta perfetta, e il fatto che in altri centri – anche del Mezzogiorno – il fenomeno sia molto meno accentuato, rafforza la mia convinzione. Alla dissoluzione pressoché totale del tessuto industriale cittadino, fragile in quanto per buona parte assistito ma pur sempre in grado di innescare un piccolo circuito virtuoso, si sono sovrapposte pseudo politiche di sviluppo che, puntando propagandisticamente sul miraggio della riconversione turistica della città, non hanno fatto altro accelerare il processo di espulsione del ceto medio agendo sulla leva della tassazione e alterando il mercato immobiliare. La breve stagione di Salerno città turistica ha prodotto solo impieghi poco qualificati e mal retribuiti, quindi la migrazione verso altre aree del paese e verso l’estero è continuata. La parte del ceto borghese impiegatizio spostatosi fuori città negli anni 90 lo ha fatto per la carenza di abitazioni disponibili e i prezzi esorbitanti; chi, come me, è andato in provincia nella prima metà di questo decennio lo ha fatto per perché il mercato immobiliare era stato drogato dalle politiche liberiste stimolate dall’amministrazione cittadina (PUC tarati su 180000 residenti nonostante la flessione demografica in atto), nonostante la disponibilità di vani. Invertire la tendenza nell’attuale congiuntura è difficile; la superfetazione edilizia ha determinato una diminuzione del valore degli immobili che, tuttavia, è ancora lontana dal compensare le iper valutazioni degli anni precedenti; in più c’è da considerare che chi è andato fuori ha spesso acceso mutui pluridecennali e ha necessità di collocare sul mercato gli immobili che possiede, svalutatisi a loro volta. Sarò pessimista ma credo che i buoi siano scappati dalla stalla. Soluzioni di medio termine non ne vedo, salvo quella di tamponare l’emorragia con la fusione amministrativa di quei comuni della cintura urbana che gravitano più direttamente sul capoluogo, come avvenuto in città come Bari e Reggio Calabria in epoche più o meno recenti;ma mi rendo conto che sono in ballo poltrone e stipendi. Tutto ciò salvo che il ripascimento del litorale non cambi il destino della città, come sostiene qualcuno.