Il provvedimento, inizialmente approvato a marzo scorso in epoca di lockdown – ad avviso di Confagricoltura – non ha portato benefici ai produttori ed ha generato una situazione di confusione e poca trasparenza che andava corretta e non accresciuta.
“Riscontriamo mancanza della certezza dei dati sui quantitativi di latte che i caseifici hanno stoccato e sui prodotti semitraformati (le cagliate) che ne sono derivate e di quante di queste ne siano state finora utilizzate. E, di fatto, si è sminuito decisamente il rigido sistema di controllo previsto tra latte DOP munto e prodotto DOP trasformato”.
Per Confagricoltura la strada da perseguire dovrà essere quella di completare il percorso definito dal decreto ministeriale 9406 del 2014, della tracciabilità del latte di bufala.
“Chiediamo attenzione, trasparenza e tracciabilità per il comparto dell’allevamento della bufala decisamente strategico, che coinvolge oltre 2600 allevamenti, 400 mila capi, 100 caseifici e più di 20.000 addetti, con 47 milioni di kg di mozzarelle e con oltre il 30% del prodotto esportato. Numeri che dimostrano come la mozzarella di bufala campana sia il più importante marchio DOP del Centro-Sud Italia.
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