Il caso nasce dalla reazione esasperata del dipendente di un punto vendita della provincia di Arezzo, che durante il turno notturno aveva riferito ad un cliente che se non avesse indossato la mascherina non avrebbe concluso la transazione in cassa.
L’avventore infatti – prosegue l’articolo di Marisa Marraffino – era entrato senza mascherina, nè strumenti di protezione alternativi, per acquistare due pacchetti di sigarette. Da qui la richiesta del commesso di coprirsi la bocca almeno con il collo della felpa.
Ne è nata una discussione dai toni accesi durante la quale il cliente non solo si era rifiutato di coprirsi la bocca perchè – a suo dire – «le mascherine le portano i malati» ma aveva anche offeso il commesso dandogli del ladro. Tornato a casa, poi, si era lamentato su Facebook della “scortesia” usata nei suoi confronti.
Da qui l’intervento del datore di lavoro che, anzichè assumere le difese del dipendente, lo aveva accusato di danneggiare gravemente l’immagine dell’azienda, intimandogli il licenziamento per giusta causa.
Già in via cautelare il Tribunale aveva ritenuto illegittimo l’allontanamento del cassiere, ma è toccato al giudice dell’impugnazione entrare nel merito e ricordare all’azienda che è un diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza.
Addirittura – prosegue il giudice – «il dipendente avrebbe potuto anche astenersi dal lavoro poichè lo svolgimento della prestazione lo esponeva ad un rischio di danno alla persona».
Il datore di lavoro, infatti, risponde della mancata osservanza delle norme a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti perchè titolare di una posizione di garanzia dettata in primo luogo dall’articolo 2087 del Codice Civile, al quale in periodo di emergenza si è aggiunto il Dpcm del 26 aprile 2020 che ha prescritto a tutte le imprese di osservare il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali.
Tra gli obblighi del datore di lavoro anche quelli di informare i lavoratori sui rischi ed invitarli al rispetto di tutte le misure idonee per prevenire il contagio. Il dipendente – si legge nella sentenza – anche in assenza di una specifica disposizione di legge, può invocare l’esimente dello stato di necessità per rifiutarsi di presentarsi al lavoro se non ci sono le condizioni per prestare la propria attività in sicurezza.
Sarebbe stato quindi onere del datore di lavoro assicurarsi che i clienti rispettassero le misure igienico-sanitarie prescritte dalla norme, incoraggiando i propri dipendenti a farle osservare anzichè sanzionarli.
La reazione del dipendente – scrive il giudice – è del tutto giustificata «dall’esasperazione per una condotta altrui omissiva che denota un’ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri, oltrechè del cassiere», che deve essere reintegrato e risarcito per l’illegittimo licenziamento.
Fonte: Sole24Ore
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