Palazzo presidenziale di Ankara, 6 aprile 2021: la poltrona assegnata a Charles Michel alla destra di Recep Erdogan e negata a Ursula von der Leyen, che deve rassegnarsi al divano di fronte al Ministro turco degli Esteri. Nei media la vicenda s’intitola “sofa-gate”, dove sofa sta per divano e gate non c’entra se non per caratterizzarla da scandalo sessista.
Sessista è per la vittima. Al Parlamento europeo, Ursula si dice ferita “come donna e come europea”. Non tanto per l’offesa all’istituzione da lei rappresentata quanto al suo essere donna. La malizia di Erdogan, fulgido esempio di incerto femminismo, e l’inerzia di Michel hanno congiurato nel recarle il nocumento di cui porta ancora i segni. Nel linguaggio, non nell’acconciatura sempre composta.
Ursula nota che metà della popolazione europea è formata da donne, ma tale non è il rapporto nei posti guida. La presenza femminile ai vertici è indice di civiltà, altrimenti il modello europeo non sarebbe più tale.
E’ lecito dubitare dell’opportunità che la Presidente della Commissione insista su un infelice svarione dei cerimoniali UE e turco. Il caso avrebbe dovuto essere chiarito a quattr’occhi a Bruxelles. In Rue de la Loi, Michel e von der Leyen sono dirimpettai, non hanno bisogno di platee per confrontare le loro opinioni. Se il tema riguarda il profilo esterno dell’Unione e non la disparità fra i generi, allora merita un dibattito all’altezza.
L’Unione ha troppi presidenti per essere autorevole presso gli stati membri e presso i terzi. La Conferenza sull’avvenire d’Europa inizia in questi giorni, è il luogo adatto a immaginare le soluzioni. La più lineare sarebbe di imputare al Presidente della Commissione anche la guida del Consiglio europeo. Sarebbe la plastica rappresentazione di un’Unione più coesa e coerentemente sovranazionale. Non più l’ibrido bicefalo generato dal Trattato di Lisbona.
A Strasburgo siedono deputati poco rispettosi delle istituzioni. Non perché coperte da donne ma in quanto europee: aventi il torto di puntare all’integrazione anziché alla disgregazione. Per loro una voce critica dall’interno è argomento forte nella campagna di svalutazione dell’intero sistema europeo.
Next Generation EU non è ancora in vigore e non è detto che si ripeta in futuro, con l’Unione che continua a indebitarsi per promuovere la crescita. Lavoriamo per una politica fiscale comune a completare l’Unione Monetaria. Siamo chiamati a rispondere al radicalismo moderato di Joe Biden, che si manifesta nel rilancio interno a suon di miliardi e nei rapporti con i regimi autoritari.
Laddove gli interessi europei sono in gioco, la nostra reazione è così flebile da incoraggiare altri attacchi. Si pensi agli attentati in Africa nera, prima il nostro Ambasciatore in Congo e ora il giornalista spagnolo in Burkina Faso, un continente che somiglia sempre più al luogo tenebroso di Joseph Conrad.
In un mondo ribollente di iniziative, l’Unione si attarda a discutere della ferita protocollare arrecata alla Presidente della Commissione.
Nel 2019, Ursula von der Leyen conquistò il primato di prima donna a guidare il Berlaymont. Ebbe il merito di porre il New Green Deal a bussola del mandato. Un programma addirittura profetico con il successivo scoppio della pandemia. NGEU si innerva infatti dei temi ambientali del Deal. Cerchi allora di applicare il programma con la determinazione di chi ambisce a pilotarci fuori dalla turbolenza.
Con le sanzioni a carico di David Sassoli e Vera Jourova, la Russia mostra di prendere sul serio il Parlamento europeo e la Commissione più di quanto siamo abituati a fare.
Due i riferimenti verso la sobrietà del parlare e la decisione nell’agire: Bridge over Troubled Water (Simon & Garfunkel, 1970); Voglio trovare un senso a questa situazione / Anche se questa situazione un senso non ce l’ha (Vasco Rossi, 2004).
di Cosimo Risi
Commenta