Le comunità non furono sterminate, in compenso Qaddafi fu ucciso. Si aprì così la grave crisi istituzionale e politica in Libia. Il potere statale si frantumò nella contrapposizione fra regioni e tribù, fino alla guerra civile.
I tentativi internazionali di porre rimedio furono vanificati dall’ostinazione dei contendenti e dalla rivalità fra gli aventi causa. La Francia voleva ridimensionare la presenza italiana, l’Italia resisteva alla prospettiva di perdere lo storico referente nordafricano. Nel 2020, con il Processo di Berlino, l’Unione tentò la ricucitura fra le fazioni libiche e l’intesa fra gli stati membri. L’Italia era schierata con Serraj a Tripoli, la Francia con Haftar a Bengasi.
A maggio 2021, a margine del Consiglio europeo, Emmanuel Macron e Mario Draghi concordano un percorso per stabilizzare la Libia. Sarebbe la prima volta, e in maniera non retorica, che le due capitali cercano un comune sentire sia riguardo alla Libia che al suo retroterra, il Sahel.
Il collasso dello stato libico comporta l’impossibilità, se non la voluta incapacità, di controllare le frontiere, la meridionale con l’Africa nera e la settentrionale con l’Italia.
In ambito UE la questione migratoria segna il passo, il vertice mette in scena l’abituale copione: i volenterosi pronti a farsi carico di una certa quota di riallocazioni, i riluttanti contrari a qualsiasi compromesso. Il classico cerino acceso resta in mano agli stati di prima linea: Spagna nel Mediterraneo occidentale (Ceuta), Italia nel Mediterraneo centrale (Lampedusa), Grecia nel Mediterraneo orientale (il pulviscolo di isole).
L’intenzione di Parigi e Roma “è di lavorare insieme in quella parte dell’Africa”. Così Mario Draghi nell’annunciare un cambio di passo in un’area che ha visto i due paesi sovente su fronti opposti e lungo cui si dipana la principale rotta migratoria verso l’Europa.
La delegazione italiana ottiene che il punto figuri nell’agenda del Consiglio europeo di giugno. L’intesa sarà difficile anche allora, andrà coagulata una coalizione di paesi pronti a collaborare fra loro. Sarebbe qualcosa in meno di un accordo europeo propriamente detto, verosimilmente irraggiungibile in tempi brevi, ma qualcosa in più rispetto alla solidarietà volontaria degli Accordi di Malta. Accordi esauriti nello spazio d’un mattino.
La strategia è a ampio raggio e cerca di arrivare al cuore del problema. I porti di imbarco si trovano in Libia, la fonte è altrove. La Libia “ospita” 575 mila migranti: il 21% viene dal Niger, il 18% dall’Egitto, il 15% dal Sudan, il 15% dal Ciad, il 6% dalla Nigeria. Il gruppo è composto dall’81% di uomini, dal 10% di donne, dal 2% di bambini non accompagnati, dal 7% di accompagnati.
La risposta europea solo securitaria, fino al blocco navale, contrasta alcuni principi del diritto internazionale. La risposta solo umanitaria verrebbe interpretata come un invito a espatriare a centinaia di migliaia di persone. Nel primo caso ci giochiamo la reputazione internazionale, nel secondo mettiamo a rischio la coesione sociale.
Le difficoltà che l’Italia ha sul piano bilaterale con l’Egitto (affari Regeni e Zaki) non aiutano la collaborazione in campo migratorio. La Francia intrattiene con il Cairo rapporti più che cordiali, il suo contributo è prezioso per essiccare la fonte egiziana.
La Germania manifesta buona volontà. Sta per entrare in campagna elettorale, mai così incerta come quest’anno che vede il ritiro di Angela Merkel. I candidati alla Cancelleria si mostrano cauti sul tema, lo sanno divisivo presso l’elettorato. A Francia e Italia, con la Spagna, spetta trainare il convoglio europeo. L’alternativa è lasciarsi travolgere. Il populismo sovranista, in regresso per Next Generation EU, riprenderebbe il largo sull’onda migratoria
di Cosimo Risi
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