Si tratta di principi che costituiscono il cardine di ogni democrazia: il primo ripete la distinzione tradizionale tra “i poteri” dello Stato (anche se l’affermazione ha con il tempo perduto la rilevanza che aveva assunto nell’elaborazione di Montesquieu); il secondo definisce la magistratura come “ordine” (espressione non a caso utilizzata dal Costituente). In ogni caso, l’ indipendenza dei giudici deve restare un fondamento della nostra democrazia.
Ciò detto con estrema chiarezza, si tratta di esaminare se la tempesta che ha interessato il mondo giudiziario e i rimedi che devono essere approntati dal legislatore incidano o meno sulla “indipendenza” della magistratura.
Credo sinceramente di no. A fronte di migliaia di giudici che compiono il loro dovere con coscienza e preparazione, ve ne sono altri (una minoranza) che profittano di una fitta ragnatela di colleganze associative e di interventi sulle commissioni del Consiglio Superiore della Magistratura per fare carriera e per prevalere sui primi.
Le vaste connessioni associative rendono inutile ogni riforma seria, che dovrà fare sempre i conti con stratificazioni di potere interno, non sempre indirizzate a finalità corrette, come ha dimostrato il caso Palamara, insieme a tanti altri episodi che abbiamo letto in questi mesi.
Eliminare queste distorsioni non significa incidere sul valore costituzionale della “indipendenza” dei giudici, se mai valorizzarlo, considerato che il principio è posto a presidio anche dell’indipendenza dei “giudici” tra loro, ovvero è finalizzato ad assicurare che nelle loro funzioni questi restino “indipendenti” pure dai condizionamenti interni, che possono incidere sul concreto esercizio e sui risultati dell’ attività giurisdizionale (e il libro di Sallusti e Palamara, “Il sistema” ne ha dato conto).
Il dibattito sulle pesanti interferenze nel mondo giudiziario e sulle sue distorsioni non è recente. Ricordo le parole di Pietro Nenni quando venne arrestato nel 1964 – con accuse che si rivelarono del tutto prive di fondamento ed a seguito di un’ inchiesta che distrusse sul nascere le potenzialità dell’ENI – il Presidente del Comitato per l’Energia Nucleare, Felice Ippolito: “l’indipendenza della magistratura non può tradursi in un potere insindacabile, incontrollato e, a volte, irresponsabile”.
Ed ancora, solo per evocare gli episodi più rilevanti, ricordo l’arresto e il ritiro dei passaporti di Sarcinelli e Banfi (atteso ad un summit delle Banche Centrali), il primo Direttore generale e il secondo Governatore della Banca d’Italia, con accuse false e dirette a colpire proprio questi servitori delle Istituzioni che avevano demolito il “sistema Sindona” (quello della Banca Ambrosiana, che costò la vita all’avv. Ambrosoli), e che all’inizio degli anni Ottanta gettò l’Italia nel caos e mise in serio pericolo la stabilità del sistema monetario.
Ed ancora, come non evocare la penosa vicenda del caso Tortora, da tutti più conosciuta. Ebbene, quei giudici che condussero con superficialità manifesta le inchieste e che resero provvedimenti sulla libertà personale così invasivi, alcuni finanche incidenti sugli interessi del Paese, non solo non hanno subito alcuna “sanzione”, ma hanno goduto di promozioni non spiegabili.
E mi chiedo: perché un giudice civile che per anni ritardi il deposito di una sentenza o lo scioglimento di una “riservata” (pur tenendo conto dei “carichi” di lavoro), non debba essere sanzionato, mentre un sindaco o un pubblico dipendente è imputato di omissione di atti di ufficio quando, dopo pochi mesi, non adotta un provvedimento amministrativo doveroso. E’ evidente che in questa ipotesi l’indipendenza dei giudici non può essere evocata, si tratta, invece, di correttezza, efficienza ed efficacia dell’azione giudiziaria.
Il sistema, però, oggi è imploso, rendendo necessario un intervento legislativo serio e profondo, che non credo possa essere realizzato da questo Parlamento, per la sua stessa composizione risultante dalle elezioni del 2018. Anche perché noto un certo sottile atteggiamento “attendista”, che mi pare sostanzialmente finalizzato ad aspettare che “passi la tempesta” per non mutare nulla o cambiare “poco”.
Proprio per questi motivi, nella mia modesta convinzione che mi ha portato da sempre a schierarmi con ”i radicali” già ai tempi di Marco Pannella, mi vedo costretto – mio malgrado – ad aderire all’iniziativa referendaria, nella speranza che ciò possa dare una concreta risposta alla riforma della giustizia.
Giuseppe Fauceglia
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