L’elaborazione ha la Cina al centro. E’ così articolata da meritare un’attenta esegesi. Gira intorno alla domanda: la Cina è un amico o un nemico? La risposta contempla ambedue i poli del dilemma.
E’ paese amico per collaborare sul piano economico e commerciale. E d’altronde furono gli USA a dare il via libera all’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Per un’Amministrazione che riporta il multilateralismo in auge, il riferimento all’OMC è d’obbligo, per quanto la delegazione cinese non goda di alta reputazione a Ginevra per certi comportamenti che ne violano lo spirito se non la lettera.
E’ rivale strategico quando penetra in aree del mondo, anche di fede occidentale, con gli investimenti e l’artifizio di telecomunicazioni avanzate (5G) e Via della Seta. Che è in realtà qualcosa di più dell’intrigante richiamo a Marco Polo: è il modo per controllare certe infrastrutture strategiche da cui dipanare i commerci e, in definitiva, l’influenza politica e militare.
E’ decisamente avversario quando si riarma massicciamente e si discosta, con orgogliosa baldanza, dai parametri liberal-democratici che l’Occidente assume a universali. Sulla loro cogenza generale la letteratura e la diplomazia hanno versato fiumi di scritti e parole senza venirne mai veramente a capo.
C’è sempre qualche paese al mondo che pone riserve quando si tratti di diritti umani e libertà fondamentali. La scusa buona a tutto è che si tratta di affari domestici: al riparo dalle ingerenze esterne. L’ONU non è abbastanza forte per imporsi, spetta ai paesi liberal-democratici farsi paladini dell’ordine internazionale. A costo di frizioni con i paesi refrattari.
Blinken cita i casi di Hong Kong e degli Uiguri (la comunità musulmana e turcofona dello Xinjang) come esemplari dell’atteggiamento cinese verso il tema generale dei diritti. L’avvertimento a Pechino riguarda anche Taiwan, quasi il Segretario di Stato presagisse le dichiarazioni che Xi jinping avrebbe reso alle celebrazioni dei 100 anni del Partito Comunista. A dire del Presidente, la Cina è unica e unitaria; se tale non è oggi, lo sarà presto. Sottinteso: con le buone o con le cattive. Alcuni organi di stampa riportano maliziosamente il piano “rubato” di invasione programmata sulla scorta di irresistibile blitz.
La reazione occidentale è preventiva. Nel Mare della Cina si moltiplicano le manovre navali, l’ultima è anglo-americana con la portaerei Queen Elizabeth. Sono deterrente alla tentazione di Pechino di accelerare i tempi dell’unificazione, costi quel che costi.
Se si concretizzasse la minaccia dell’invasione, in Occidente risuonerebbe il vecchio interrogativo se valga morire per Danzica (per Taiwan). La risposta sarebbe molto probabilmente che abbiamo altre priorità. E questo la Cina può immaginarlo. Contiamo perciò sull’autocontrollo dei suoi dirigenti.
Scommettere contro la Cina è esercizio imprudente quanto perdente. Scommettere con la Cina è arduo e, alla lunga, potenzialmente vincente. Nei Settanta del XX secolo fu la scommessa giocata dalla coppia Nixon – Kissinger. Riconoscere la Repubblica Popolare servì ad accentuare il solco fra Pechino e Mosca e rompere la convergenza fra i due giganti comunisti.
La Cina di Mao zedong era un paese in via di sviluppo, afflitto dalla sovrappopolazione e percorso dalla fame nelle zone rurali. La Cina di Xi, erede di quella di Deng xiaoping, è sempre sovraffollata e ostenta la sicurezza dei propri mezzi.
In comune le due Cine hanno il dominio pressoché incontrastato del Partito, che ha saputo trasformarsi “in continuità nella discontinuità”. Hanno lo sguardo lungo di chi non governa sulla base dei sondaggi istantanei ma della prospettiva secolare. La Cina può attendere, l’Occidente ha fretta.
di Cosimo Risi
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